La Stampa, 5 settembre 2025
Il costo di Trump
La Cernobbio che osserva con preoccupazione gli sviluppi globali fa i conti, prima di tutto, con gli effetti della Trumponomics, la politica americana che alza muri e blinda le dogane. È un dossier corposo quello che oggi a Villa d’Este finirà sui tavoli di ministri, banchieri e imprenditori riuniti dall’Ambrosetti sulle rive del lago di Como: un documento che mette in fila il costo della “svolta a stelle e strisce”, a partire da quei dazi al 15% che, nonostante il fragile compromesso di agosto, si sono abbattuti con violenza su industria e consumatori.
Secondo gli analisti, il prezzo della stretta di Washington per l’Europa è «altissimo»: l’onere tariffario stimato è di 75,8 miliardi di euro l’anno, tredici volte i 5,9 miliardi messi a bilancio nel 2024. Per l’Italia la quota si aggira intorno ai 9 miliardi. «Un aggravio – scrivono – che rischia di comprimere i margini delle imprese e ridurre la competitività sui mercati statunitensi».
Il nostro Paese, e gli uomini d’azienda e i manager intervistati nel report lo sanno bene, è tra quelli con il maggiore avanzo commerciale verso gli States: 38,9 miliardi di euro nel 2024, più che raddoppiati nell’ultimo decennio. E i settori trainanti – macchinari, farmaceutica, automotive – sono i più vulnerabili visto che quasi metà dell’export italiano negli Usa (48,5%) è concentrata proprio nei tre comparti.
«Nonostante questo, l’impatto complessivo resta gestibile», rassicurano dal think tank guidato da Valerio De Molli: la perdita potenziale di export è stimata in 6,7 miliardi di euro, pari all’1,1% delle esportazioni italiane complessive. Una quota che, grazie alla diversificazione geografica, «potrebbe essere redistribuita verso altri mercati».
Ma è l’effetto combinato tra nuovi dazi e svalutazione del dollaro a rendere il quadro più complesso. La moneta statunitense nell’ultimo anno ha perso il 10,6% del valore, rendendo automaticamente più costose le merci importate dall’Europa. Per chi fa shopping Oltreoceano questo significa un rincaro medio del 25,6% sui prodotti del Vecchio Continente, con un «effetto inflattivo che potrebbe frenare la domanda e spingere le famiglie a privilegiare beni locali o provenienti da Paesi non soggetti a tariffe».
I numeri raccontano molto delle strategie del tycoon: nei primi sei mesi del 2025 il gettito doganale Usa ha già raggiunto 87,2 miliardi di dollari, superando l’intero 2024, quando gli introiti si erano fermato a 78,9 miliardi. E le entrate tariffarie complessive a fine anno sono stimate tra 207 e 250 miliardi, il triplo di un anno fa.
Se da un lato l’accordo per cui la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen è finita sotto il tiro incrociato dei patrioti e della sinistra offre a Bruxelles una serie di «tutele importanti», dall’altro lascia aperti dossier cruciali. In particolare, c’è un grande punto interrogativo attorno alle questioni relative ad acciaio e alluminio, comparti “strategici” per l’industria europea e italiana.
A rassicurare il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti- domenica toccherà a lui chiudere il Forum – è la consapevolezza che Roma, al riparo sui mercati finanziari, può godere di una posizione privilegiata anche in termini di resilienza commerciale. E che lo stock di investimenti italiani negli Stati Uniti – 65,4 miliardi di euro, oltre tre volte quello americano in Italia – certifica la solidità dei rapporti bilaterali. Inoltre, si legge nella ricerca, «i prodotti italiani figurano tra i meno sostituibili a livello globale»: siamo il 21° Paese per bassa sostituibilità, grazie alla distintività e alla qualità del Made in Italy. E non è secondario il dato sulla finanza: l’Italia detiene 47,9 miliardi di dollari di debito pubblico statunitense.
Fattori che, uniti alla capacità di innovazione e alla flessibilità delle imprese, rappresentano il vero scudo competitivo contro le nuove barriere. «Pur creando difficoltà significative per alcuni comparti industriali, la Trumponomics non compromette la tenuta complessiva del sistema», concludono i ricercatori di Teha Club. Al governo però la business community chiederà «politiche mirate di sostegno ai settori più esposti. In un contesto globale segnato da crescente protezionismo e indebolimento delle istituzioni multilaterali, per l’Italia e l’Europa sarà fondamentale rafforzare la propria autonomia industriale e definire strategie di lungo periodo capaci di difendere competitività e occupazione».