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 2025  settembre 05 Venerdì calendario

Dalle vittime in piazza alle divisioni Maga. La (difficile) battaglia sulle carte di Epstein

Sono passati due mesi, ormai, da quando, il 7 luglio, la ministra della Giustizia Usa Pam Bondi cercò di chiudere il caso Epstein, tornato sulla bocca di tutti dopo che Elon Musk aveva parlato di un coinvolgimento di Donald Trump, ma il clamore e i sospetti non si placano. E continuano gli sforzi di tenere vivo il caso imponendo la pubblicazione integrale di tutti i documenti e tutti i nomi dei «clienti» del miliardario pedofilo morto suicida in carcere nel 2019.
Carte davvero esplosive? E questi sforzi avranno successo? Nonostante il forte impatto della manifestazione di mercoledì davanti al Parlamento con 12 delle vittime di Epstein che hanno chiesto la pubblicazione di tutte le carte e tutti i nomi, come previsto dalla discharge petition presentata dal repubblicano Thomas Massie e dal democratico Ro Khanna, è improbabile che quel provvedimento, fieramente osteggiato da Trump, divenga operativo: la petizione, per essere messa ai voti, ha bisogno di 218 firme. Ieri sera, oltre a quelle dei democratici e di Massie, era stata sottoscritta da tre deputate repubblicane: Lauren Boebert, Nancy Mace e Marjorie Taylor Greene. Grandi trumpiane, ma anche Maga seguaci di teorie cospirative su una cabala di politici pedofili che avrebbe ruotato attorno a Epstein: non vogliono sentir parlare di documenti censurati e omissis. Ma continuano a mancare due o tre firme repubblicane per andare al voto mentre il presidente cerca di bloccare tutto definendo il caso «una bufala montata dai democratici».
Qualora, poi, raccolte le firme e aggirato lo speaker Mike Johnson che fa di tutto per bloccare il voto, la petizione passasse, per arrivare alla pubblicazione di «tutti i documenti entro 30 giorni» dovrebbe esserci anche il voto favorevole del Senato e la firma di Trump, che ha diritto di veto. E allora? Per i repubblicani è solo polverone politico democratico, visto che un’altra commissione parlamentare, la Oversight, ha già pubblicato 33 mila documenti e ne ha chiesti altri al ministero della Giustizia. Salvo che le carte fin qui pubblicate sono irrilevanti, in gran parte già note, mentre nell’istanza al ministero della Giustizia mancano due cose: una scadenza e la richiesta di consegnare tutto.
Che possa o meno emergere il nome di Trump, per i democratici è politicamente importante tenere vivo il caso che ha più messo in imbarazzo il presidente per via della rivolta dei suoi stessi sostenitori Maga. Ma in concreto? È stata disinnescata la mina di Ghislane Maxwell che dal carcere avrebbe potuto fare rivelazioni esplosive e, invece, trasferita in un penitenziario più confortevole e col presidente che non ha escluso un perdono, ha reso testimonianze tranquillizzanti al viceministro Blanche, ex avvocato di Trump. Rimangono i rischi dei nomi nelle carte e nelle liste che le vittime dicono di aver compilato riservatamente: minacciano di renderle note se non usciranno tutti gli atti giudiziari. Si parla di mille nomi di clienti «eccellenti». Fin qui, a parte quello dell’ex ad di Victoria Secret, le vittime non hanno tirato in ballo nessun nome: temono conseguenze giudiziarie e vendette.
Non si può escludere che alcuni nomi prima o poi escano: schegge sfuggite al controllo della Casa Bianca. Come la Greene che, benché pasionaria di Trump, minaccia: se non cominciano a fare i nomi li faccio io. Potrebbe mettersi in moto qualche tritacarne. Difficilmente con conseguenze legali rilevanti (prescrizioni a parte, andrebbero provati i rapporti, l’età reale delle vittime in quel momento, la consapevolezza dei «clienti»). Ma certamente gli schizzi di fango sarebbero parecchi. Basta vedere l’attrice Rosie O’Donnell alle cui accuse il presidente ha risposto minacciando di toglierle la cittadinanza americana. Ma non può: lei è nata a New York. E ora Rosie replica: «Le sopravvissute di Epstein sono la tua resa dei conti: il tuo trono laminato d’oro si sta sciogliendo».