Corriere della Sera, 5 settembre 2025
Oslo ora rischia nuovi dazi per il caso Caterpillar-Israele. L’ira del senatore trumpiano
L’ultimo choc è stato un mese fa: il video d’un bulldozer che scava in Cisgiordania, i palestinesi che protestano, un colono che protegge la demolizione e uccide a rivoltellate un palestinese. È stato lì, che gli gnomi norvegesi del più grande fondo sovrano del mondo hanno deciso. E «per motivi etici» hanno contattato in Illinois la Caterpillar Inc., il grande gruppo americano che esporta in Israele macchinari per l’edilizia, per togliere da quella società tutte le partecipazioni finanziarie. «I vostri prodotti – ha comunicato la Banca nazionale di Norvegia agli americani – sono usati dalle autorità israeliane per commettere violazioni estese e sistematiche del diritto internazionale umanitario, come la diffusa distruzione illegale di proprietà palestinesi». E poiché Caterpillar «non ha attuato alcuna misura per impedire tale uso», salutiamoci così.
A Washington, la botta s’è fatta sentire. Il fondo sovrano norvegese, duemila miliardi di dollari, è finanziato dai proventi del gas nel Mare del Nord, è investito in 8.400 società in ogni continente e possiede l’1,5% di tutto l’azionariato mondiale. «Siamo molto preoccupati», è la reazione del dipartimento di Stato americano: «Una decisione che sembra basarsi su accuse illegittime contro Caterpillar e il governo israeliano». «Un’offesa – il commento del senatore repubblicano Lindsey Graham —, tanto che vi esorto a riconsiderare la vostra decisione miope». Inutile la telefonata fra lo stesso Graham e il premier norvegese Jonas Gahr Stoere. Men che meno, la spiegazione degli scandinavi: il patrimonio è indipendente dal governo, ha detto Stoere, e c’è un comitato etico incaricato di verificare che le aziende presenti nel portafoglio del fondo, di qualunque Paese esse siano, rispettino le linee guida votate dal Parlamento di Oslo. «Uscire da Caterpillar non è una scelta politica», si giustifica l’amministratore delegato Kristoffer Thoner, «è imposta dai nostri standard etici». E comunque, si tratta d’una minuscola perdita finanziaria, rispetto al rischio d’immagine che deriva da quei video negli insediamenti illegali o nelle demolizioni delle case a Gerusalemme Est: qualche mese fa, il fondo finanziario era finito anche nel rapporto della relatrice speciale Onu sui Territori palestinesi, Francesca Albanese, che aveva accusato i norvegesi (e la Caterpillar) di «responsabilità nel genocidio». Anche a Oslo non sono tranquilli: il 52% del patrimonio, oltre mille miliardi, fino al 30 giugno era detenuto negli Usa sotto forma d’azioni, titoli del Tesoro e immobili. E ora Graham, fedelissimo di Donald Trump, propone le solite contromosse: restrizione sui visti di viaggio dalla Norvegia. E naturalmente, nuovi dazi.