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 2025  settembre 04 Giovedì calendario

La stella di Porto Rico vuole restare sola «Non siamo una colonia degli Usa»

Le strade di San Juan domenica scorsa si sono trasformate in un mosaico di bandiere, sollevate in alto o avvolte attorno alle spalle: la stella solitaria si è mossa al ritmo di «Yankees go home». Alcuni manifestanti portavano cartelli scritti a mano: «Dite no alla colonia», «Porto Rico è nelle nostre mani». Tra le statue del Campidoglio e le facciate coloniali del centro, la marcia ha riunito venti associazioni e qualche migliaio di manifestanti, decisi a chiedere libertà e autodeterminazione. Non solo sull’isola: cortei si sono svolti anche in Ohio, Illinois, Florida, Massachusetts, New Jersey e New York, dove vivono oltre 5,8 milioni di portoricani, quasi il doppio dei residenti rimasti sull’isola. Tra i manifestanti, l’attrice Magali Carrasquillo, che ha sfilato vestita come una delle “Lolitas”, in ricordo di Lolita Lebrón, leader indipendentista che nel 1954 sparò al soffitto del Congresso statunitense e scontò 24 anni di carcere.
«Voglio che il mio Paese sia libero e sovrano. Qui le decisioni vengono prese da altri, sulle nostre vite e sui nostri portafogli». La condizione coloniale dura dal 1898, quando l’isola passò dalla Spagna agli Stati Uniti. Nel 1917 i portoricani ottennero la cittadinanza americana, senza diritto di voto per il presidente. Dal 1952 Porto Rico è “Commonwealth”: ha un governo e una Costituzione, ma difesa, confini e politica estera restano a Washington.
Negli ultimi anni il malcontento è cresciuto. Nel 2016, con un debito di oltre 70 miliardi di dollari, l’isola è stata posta sotto la supervisione di un Fiscal Oversight Board nominato a Washington. Le misure di austerità hanno portato alla chiusura di centinaia di scuole e al deterioramento di ospedali e infrastrutture. Dopo l’uragano Maria del 2017, la rete elettrica resta fragile e le bollette sono tra le più alte degli Usa.
Intanto, incentivi fiscali hanno attratto investitori americani, accusati di gentrificare i quartieri storici. E a giugno 2025 l’Onu ha riaffermato il diritto dei portoricani all’autodeterminazione.
La domanda di libertà non si ferma alle strade di San Juan e, secondo molti osservatori, vede i giovani in prima fila.
Una spinta arriva anche dalla musica e dal successo globale del portoricano Bad Bunny. Ha inaugurato il tour – 2,6 milioni di biglietti venduti in una settimana – con 30 date nella sua isola e un impatto economico diretto di 250 milioni di dollari. Nei suoi brani convivono le ombre e le luci di Porto Rico: i blackout che scandiscono la vita quotidiana, il peso del colonialismo e della corruzione, l’esodo forzato di migliaia di persone. Ma anche l’intensità, l’energia e la vitalità del suo popolo. È insieme una dichiarazione d’amore e un grido di dolore per un Paese che sembra scivolare via: tradito da una classe politica screditata, svuotato da quartieri trasformati in residenze di lusso, con terre cedute a investitori stranieri. «Non mollare la bandiera – canta Bad Bunny –, non voglio che facciano con te quello che è successo alle Hawaii».