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 2025  settembre 04 Giovedì calendario

Intervista a Mouhamet Rassoul Diouf

Mouhamet Rassoul Diouf, detto Momo: centro, 205 cm di potenza pura sotto canestro per l’Italia che sogna metallo prezioso da estrarre a Riga, in fondo alla prossima settimana.
Contro la Spagna Diouf è stato il migliore in campo: 14 punti e 8 rimbalzi in 19 minuti infuocati.
Oggi l’ultima gara del girone dell’Europeo contro Cipro, una formalità: Italia prima o seconda, dagli ottavi si va sul Baltico.
Contro la Spagna si è visto il miglior Diouf?
«È stata la mia miglior partita in Nazionale finora. Due anni fa al Mondiale stavo fisso in panchina, ma nelle ultime stagioni sono cresciuto sia fisicamente, sia tecnicamente. E per questo devo ringraziare soprattutto la Virtus e i coach Luca Banchi e Dusko Ivanovic. Hanno capito in cosa dovessi migliorare».
La natura le dà una mano.
«I miei genitori sono molto alti, ma non hanno mai giocato a basket. Sono molto alte anche le mie sorelle. Sono l’unico sportivo in famiglia».
La sua vita è iniziata a Dakar, un giorno prima del crollo delle Torri Gemelle.
«Vero, sono nato il 10 settembre 2001. Il mondo è cambiato il giorno dopo. È una coincidenza che non smette di colpirmi».
Quanto ha vissuto in Senegal?
«Fino ai 6 anni. I miei genitori sono emigrati economici, sono venuti in Italia per trovare un lavoro e una vita migliore. La mia famiglia si è stabilita in Emilia, a Gaida, a due passi da Sant’Ilario d’Enza. L’impatto con l’Italia è stato enorme. È cambiato tutto: vita casalinga, orari, scuola. A Dakar giocavo per strada tutto il giorno, vivevo in maniera spensierata. Sono felice, però, e ora sono felice di poter aiutare la mia famiglia a stare meglio».
La cittadinanza italiana a che età?
«A 18 anni, su richiesta di mio padre, e non per meriti sportivi. Non è stato un iter complesso. Mi sono sempre sentito italiano, anche se a casa abbiamo sempre parlato almeno tre lingue diverse. Il senegalese e il francese all’inizio. Ora prevalentemente usiamo l’italiano. Sono musulmano: il rapporto con Dio è un aspetto importante nella mia vita».
Dopo la vittoria sullaSpagna, un ragazzino su Instagram le ha scritto: “Ti voglio bene”. E lei ha risposto: “Anch’io”.
«Questi messaggi danno una carica incredibile. È bello sentirselo dire, è bello ringraziare».
Le è capitato di essere vittima di hater?
«Ho ricevuto messaggi di tono discriminatorio, razzista in questi anni. Ne ho sofferto, ma poi ho cancellato e sono andato avanti. Il razzismo non ha senso in un mondo come quello di oggi, così aperto agli scambi, alle influenze».
La Nazionale azzurra è un esempio di questo.
«Certo, la società e lo sport italiano possono trovare solo giovamento dalla multiculturalità. La vittoria dell’Under 20 all’Europeo è un altro esempio di integrazione».
Condivide le sue origini con Saliou Niang, un altro diamante grezzo dell’Italia del basket.
«Sal è diventato un grande amico. L’ho conosciuto bene quest’estate, in azzurro. L’infortunio con la Spagna è alle spalle, cammina, tornerà sicuramente per gli ottavi».
Pozzecco insiste sul concetto di “famiglia”.
«Lo siamo. Ci vogliamo molto bene e ci crediamo tutti. Crediamo in qualcosa che non sappiamo ancora. Il nostro pensiero è “partita dopo partita”. Vinciamo e dimentichiamo».
A inizio estate ha giocato la Summer League Nba con i San Antonio Spurs. Cosa le ha fatto capire questa esperienza?
«Che a quello livello, se lavoro nella giusta direzione, posso starci. E poi quella è una canotta storica. David Robinson, l’ammiraglio, uno dei primi centri moderni del basket, l’ha indossata. Ho visto tanti suoi video, è un modello per me».
A Bologna sta bene?
«È la città dei sogni per uno che gioca a basket: si mangia bene, in centro è bellissimo girarci, c’è un tifo fantastico. Ho tutto, e non è lontana da casa mia».
Dove vuole e può arrivare ?
«Al massimo livello possibile, e a sbloccare tutto il mio potenziale».