Corriere della Sera, 4 settembre 2025
«È stato magico averlo come papà. I processi? Per lui fu durissimo»
Mercoledì mattina, nella camera ardente, Sveva Fede siede accanto a suo padre Emilio Fede e gli legge i necrologi, gli articoli di giornale, i messaggi ricevuti nella notte da amici e colleghi. La camera ardente è aperta solo ai familiari perché quel padre che è stato un protagonista della tv non voleva neanche un funerale: «Mi diceva: quando muoio, alle sei del mattino, voglio già stare sull’auto che mi porta a Mirabella Eclano dalla mamma». Lì, vicino Napoli, c’è la tomba della famiglia De Feo, con le ceneri di Diana, che è stata la sua amatissima moglie per quasi sessant’anni. Nell’attesa, oggi, delle esequie e dell’ultimo viaggio delle ceneri, Sveva sta accanto a suo papà e ancora gli parla. È lei che gli è stata vicino negli ultimi giorni, nella Rsa di San Felice di Segrate, nel Milanese, dove si trovava da un anno e mezzo. Racconta: «Gli ho riportato la stima, l’affetto, i ricordi di chi aveva lavorato con lui, di chi dice “mi ha insegnato tanto”, “non lo dimenticherò mai”. Un messaggio più bello dell’altro».
Come sono stati i suoi ultimi giorni?
«Da guerriero. Combattivo fino alla fine. I medici non si spiegavano come facesse. È rimasto lucido fino al giorno prima: mi ha abbracciata, mi ha sorriso. Salutava chi passava con baci mandati con la mano».
Su Internet era stato dato per defunto anzitempo più volte. Invece?
«Due anni fa era caduto, era debole ed era stato ricoverato al San Raffaele, in rianimazione: ci dissero che non ce l’avrebbe fatta. Invece si riprese, venne in questa struttura in sedia a rotelle. Ci avevano detto che non avrebbe più camminato. Invece, dal deambulatore al bastone, si è rimesso in piedi».
Qual è l’immagine più viva che porterà con sé?
«È difficile scegliere. Forse una di lui con la mamma: una bellissima foto che lei teneva sempre in vista a Villa Lucia, la casa di Napoli. Oppure, lui davanti alle telecamere, a condurre i Tg con tutta la sua passione».
Sua madre era mancata quattro anni fa. Quanto lo aveva segnato quella perdita?
«Moltissimo. La loro era una storia forte, fatta anche di lavoro condiviso. Papà la chiamava prima di andare in onda e subito dopo, per avere il suo parere. Lei era innamoratissima, l’ha amato fino all’ultimo. Anche quando era molto malata, se papà telefonava, chiedeva il rossetto prima di rispondere. Ed erano chiamate, non videochiamate. Quando è morta, lui ha perso una parte enorme della sua vita».
Da figlia com’è stato avere un padre ingombrante mediaticamente, ma spesso lontano fisicamente?
«In un certo senso, era sempre con noi: lo guardavamo ogni sera in tv. Quando c’era, però, era un padre magico. Appariva e scompariva come una favola: quando eravamo piccole era inviato in Rai, una volta tornò dall’Africa con una valigia piena di aragoste. Un’altra, dalle Hawaii con una valigia piena di collane di fiori. Ricordo un momento difficile per me: decise di regalarmi un cane, Teodoro, un cocker che mi ha salvato la vita».
Com’è stato vivere da figlia i processi, le inchieste, il caso Ruby?
«Durissimo. Per lui, per la mamma e per noi. Ma lo abbiamo visto convinto della sua verità. La mamma, e noi con lei, non ha mai dubitato di lui. Sapeva che era un discolo, lo amava anche per quello. Per noi, restare uniti in quel momento era ciò che contava. Papà ci ha insegnato che si cade e ci si rialza e lo ha fatto anche allora».
Lei come ha vissuto la nota passione per Silvio Berlusconi?
«Diceva che era il suo secondo amore, dopo la mamma. Lo capisco: grazie a lui, papà ebbe una seconda occasione e, senza Mediaset, non ci sarebbe stato il Tg4, una voce alternativa al Tg1, le notizie date in anticipo sulla guerra del Golfo…».
È vero che voleva essere sepolto nel mausoleo di Arcore?
«Papà scherzava sempre. Non avrebbe voluto essere altrove se non con mamma. Le racconto un aneddoto che spiega quanto la amasse... Negli ultimi anni, mamma aveva un Teodoro terzo, che però mancò. Papà mi chiama da Milano, preoccupato, e mi chiede cosa dobbiamo fare. Gli spiego che mamma non vuole un altro cane, perché dice che è anziana, mancherà, non vorrebbe lasciare una bestiola sola. Allora lui propose di portarle Briscola, la mia cagnolina. Riagganciò e, in un minuto, era in macchina. Arrivò al casello di Arezzo, io lo raggiunsi lì con Briscola e partirono insieme per Napoli. Su papà, sto raccogliendo materiale per un documentario, per ricordarlo nei suoi slanci: era un caos, una tempesta, un’esplosione».
Una testimonianza già raccolta e inaspettata?
«Quella di Lucia Annunziata. Aveva un grande rispetto per lei. Ovviamente, non condividevano le posizioni politiche. E quindi discutevano, papà la insultava. E lei mi ha raccontato che, quando la mandava al diavolo, il giorno dopo, le spediva sempre un mazzo di rose rosse».
Un ricordo di suo padre e della sua popolarità?
«Una volta a Gaeta: c’erano mamma, lui, io e i miei figli Guelfo e Ottavia, ancora piccoli. Attorno a papà si riunì una folla che gli chiedeva autografi, lo abbracciava. C’erano bambini, giovani e anziani. La sua è stata una storia generazionale, che ha attraversato tante famiglie. Quella capacità di volere bene a tutti è ciò che mi colpì di più».
La sensazione è che si divertisse molto anche per le prese in giro, per quelle di Striscia la Notizia e sui suoi presunti ritocchini estetici. È così?
«Sì. In fondo, senza quelle prese in giro sarebbe mancato un pezzo importante della sua notorietà».
Suo padre temeva la morte o aveva fede?
«L’incontro con Giovanni Paolo II lo segnò: aveva portato nella casa di riposo la foto del Papa che gli carezza il viso. Lì Don Carlo dice messa tutti i giorni. Poco alla volta, hanno iniziato a parlarsi. È stato un avvicinarsi lento, fino ad affidarsi. Se n’è andato sereno nella fede, sicuro di raggiungere mamma».