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 2025  settembre 03 Mercoledì calendario

«Troppo affollato» E va ai domiciliari Il caso di Torino ora può fare scuola

Un detenuto con obesità e una patologia cardiaca ha chiesto di poter scontare ai domiciliari la sua pena, inferiore ai quattro anni, per motivi di salute. E il Tribunale di sorveglianza di Torino, al quale era ricorso dopo un primo diniego da parte del magistrato di sorveglianza, ha detto sì: però non per la natura delle cure richieste dalla malattia che i giudici definiscono anzi «compatibili con la detenzione» bensì perché il penitenziario Le Vallette di Torino a cui l’uomo è stato assegnato versa in condizioni di sovraffollamento tali da determinare sofferenze aggiuntive ed eccessive per una persona malata. In teoria – è in sintesi la risposta dei giudici – la tua patologia non ti darebbe diritto a scontare la pena fuori dalla cella, ma la realtà, ovvero un istituto in cui sono stipati 1.466 detenuti a fronte di una capienza di 1.117, la rende incompatibile nella pratica.
Le motivazioni della decisione – presa lo scorso 5 agosto ma divulgata nei media questa settimana – rischia di fare scuola visto che i penitenziari non interessati da numeri eccessivi sono solo un quarto e che invece, in media, a livello nazionale il sistema sfoggia un tasso di sovraffollamento del 134%. «È la prima ordinanza – conferma Ettore Grenci, referente della Commissione diritti umani del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Bologna – che usa il tema del sovraffollamento carcerario declinandolo sotto forma di rispetto del principio di umanità della pena contenuto nella Costituzione. Ovviamente è una decisione legata a un caso specifico che tiene conto di vari aspetti tra cui le patologie e la pericolosità del ricorrente ma, considerando che il 75% dei penitenziari italiani è in condizioni di cronico sovraffollamento e che quindi il principio può essere esteso a una serie indeterminata di soggetti che si trovano nelle stesse condizioni di questa persona, mi aspetto che l’ordinanza di Torino possa essere emulata anche da altri Tribunali di sorveglianza. Il provvedimento è significativo anche perché ha ottenuto parere favorevole anche da parte della dottoressa Lucia Musti, procuratrice generale di Torino, che rappresenta l’ufficio di procura più importante del Piemonte: è il segno lampante di una sensibilità ormai diffusa tra magistrati e giuristi che lavorano per il rispetto del principio di umanità della pena».
L’innovazione dell’ordinanza si deve anche al fatto che per la prima volta l’elemento del sovraffollamento viene considerato dall’ordinamento a priori e non a posteriori. Dal 2014, dopo che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per reclusioni degradanti e ricorrenti, l’ordinamento ha introdotto una norma apposita che riconosce un indennizzo o una riduzione di pena per le persone che stanno o hanno scontato la propria pena in condizioni di sovraffollamento. «Chi possa dimostrare di essere detenuto in condizioni inumane o degradanti per almeno 15 giorni – spiega Alessio Scandurra, coordinatore dell’Osservatorio sulle carceri dell’associazione Antigone – ha il diritto di ottenere una riduzione della pena detentiva ancora da scontare, pari a un giorno per ogni dieci giorni di violazione. Coloro che hanno scontato una pena inferiore a 15 giorni o non si trovano più in stato di detenzione devono ottenere un risarcimento di 8 euro per ogni giorno trascorso in quelle condizioni». I casi non sono affatto pochi: nel 2024 gli uffici di sorveglianza italiani hanno contato 11.440 istanze per la riduzione della pena; ne sono state decise 10.097 e di queste 5.837 – pari al 57,8% – sono state accolte. Un numero record, che solo nell’ultimo anno è cresciuto del 23,4%. Considerando un intervallo di tempo plausibile di sei mesi, per un detenuto significano 18 giorni di sconto di pena oppure 1.440 euro di rimborso (al lordo delle spese legali): poca cosa per il singolo e invece un significativo esborso per lo Stato che, moltiplicando per il numero totale degli indennizzi ammessi, si troverebbe a pagare 8 milioni e mezzo di euro. «Il sovraffollamento – aggiunge Grenci – ha anche costi nascosti, come il servizio sanitario che interviene negli episodi di violenza e autolesionistici che si moltiplicano o che supporta la polizia penitenziaria sottoposta a grande stress. E poi c’è il costo umano: in questo contesto la rieducazione, prevista dalla Costituzione, è una pia illusione». Purtroppo, però, l’orizzonte non è roseo: se da un lato tribunali e magistratura sembrano interessati al tema, sul fronte politico le bocce sembrano ferme. Secondo Scandurra «serve anzitutto uno strumento straordinario per far calare la pressione e mettere in regola le capienze e i carichi di lavoro sul personale di polizia, sanitario e degli educatori: solo così si riescono ad abbassare i tassi di recidiva. Oggi il 60% delle persone in carcere ci è già stata e tossicodipendenza e disagio psichico sono molto diffusi: ma come si può pensare a cure dedicate o percorsi di reinserimento senza spazi e senza risorse adeguate ai numeri?». «Dopodiché – gli fa eco Grenci – servirebbe una riforma di lungo respiro: la revisione del Codice penale, una depenalizzazione ampia, investimenti in attività alternative e luoghi in cui far eseguire la pena fuori dal carcere. Tutto invece sembra andare nella direzione opposta: le norme penali contenute nel recente decreto sicurezza prevedono nuovi reati e incrementi di pena per quelli già esistenti e l’attuale composizione parlamentare non finalizzerà provvedimenti come amnistia o indulto per i quali servono maggioranza qualificate». Pure la meno ambiziosa proposta di legge Giachetti, che prevede di ampliare i giorni di liberazione anticipata per buona condotta dagli attuali 45 a 75 giorni per semestre, comportando la fuoriuscita dal carcere di diverse migliaia di persone che stanno scontando pene residue di pochi mesi, è parcheggiata in Commissione giustizia della Camera da dove per ora – nonostante le aperture bipartisan – non sembra essersi mossa.