il Fatto Quotidiano, 3 settembre 2025
Malpensa sembra il mercato del pesce. Non se lo merita neppure Berlusconi
La settimana scorsa sono tornata a Milano, con arrivo all’aeroporto di Malpensa, dopo un volo durato 12 ore da Singapore. Erano le sei del mattino ora italiana, avevo viaggiato di notte, quindi dormendo poco e con gli inevitabili effetti del jet lag.
Insomma, ero stanca in due fusi orari contemporaneamente. Con me, su un volo pienissimo, c’erano centinaia di passeggeri da tutto il mondo e pure molti italiani. Malpensa è un aeroporto di una bruttezza rara, tant’è che non penso neppure che Silvio Berlusconi avrebbe festeggiato all’idea di vedere il suo nome associato a un blocco di cemento armato con lunghi corridoi asfittici e quell’aria da hotel datato in cui è avvenuto qualche delitto.
Comunque, scendo dall’aereo, percorro il corridoio che conduce al controllo passaporti e senza ancora essere uscita dal tunnel, mi trovo davanti una muraglia umana, assonnata, immobile e sgomenta: la fila per il controllo passaporti inizia lì. Io, italiana, sia in entrata che in uscita, per il controllo passaporti a Singapore avevo impiegato dieci secondi a voler essere ingenerosi. Io, italiana, per entrare nel mio Paese, devo affrontare una fila come se fossi sbarcata al controllo migranti di Ellis Island nel 1910.
La situazione si fa chiara dopo pochi metri: i varchi elettronici aperti sono una manciata, alcuni sembrano spenti o guasti, la segnaletica per gestire il flusso di cittadini italiani e stranieri è insufficiente, il personale dell’aeroporto deve smistare i passeggeri per fila con il sistema più antico del mondo: urlando. E senza parlare mezza parola di inglese, quindi gli australiani non capivano la tizia che urlava “AUSTRALIAAAAA DA QUESTA PARTEEEEE!”, tant’è che il mio fidanzato ha dovuto accompagnare al varco dedicato una signora arrivata dall’altra parte del mondo, probabilmente insonne da due giorni.
Sembrava di stare al mercato del pesce di Anzio, con i trolley al posto delle spigole. La stessa cosa sta succedendo a migliaia e migliaia di passeggeri in arrivo a Malpensa, a tutte le ore del giorno, costretti a file che possono durare anche due ore. La città che dovrebbe essere la più europea d’Italia, la città dei grattacieli che nascono nei cortili condominiali perché il futuro mica lo puoi fermare, poi smista i passeggeri in arrivo dal mondo con urla e gesti.
E non so cosa succeda negli altri scali italiani, ma proprio ieri Paris Jackson (figlia di Michael) è ripartita dall’Italia dopo aver partecipato alla première veneziana di Frankenstein di Guillermo del Toro, dove ha sfilato sul red carpet della Mostra. Prima di andare via ha pubblicato la sua storia su Instagram in cui mostrava un nastro dei bagagli, la bandiera italiana e la scritta piuttosto esplicativa: “Shittiest airport I’ve ever been to”. Ovvero: “L’aeroporto più merdoso in cui sia mai stata”. Una recensione asciutta e pacata che del resto si può anche comprendere: suo padre aveva costruito Neverland nel giardino di casa, noi a Malpensa abbiamo costruito la sala di attesa di una Asl anni 90.