repubblica.it, 3 settembre 2025
Colombia, l’incubo di un ritorno agli anni 80: gli attentati incrinano il sogno di pace di Petro
Un doppio attentato in quello che è stato definito “il giorno della morte” incrina forse in modo definitivo la grande promessa di Gustavo Petro di “una pace totale” in Colombia. Mai come in questi ultimi giorni sul Paese andino sono tornati ad aleggiare gli spettri della violenza che si pensava fosse solo un brutto sogno del passato. Quello degli Anni 80 del secolo scorso, di Pablo Escobar e della sua lotta allo Stato.
Gli ultimi attentati degli ex Farc
L’esplosione di un camion carico di bombe cilindriche lanciato contro la base aerea di Cali, la terza città più importante per numero di abitanti, ha provocato la morte di sei passanti e il ferimento di altri 70. L’azione è stata attribuita allo Stato Maggiore Centrale, gruppo dissidente delle ex Farc, l’organizzazione armata di sinistra sciolta con l’accordo di pace del 2016. È guidato da Iván Mordisco, oggi considerato il nemico numero uno del governo. Un’altra fazione dissidente, la Segunda Marquetalia di Iván Marquez, è invece sospettata di aver ucciso 13 agenti di polizia abbattendo con un drone carico di dinamite l’elicottero su cui viaggiavano durante un’operazione antidroga.
Non c’è alcun collegamento tra i due attentati. Ma il fatto che siano avvenuti a distanza di poche ore l’uno dall’altro, dopo un’altra serie di agguati che hanno destato enorme allarme tra la popolazione, mette alle corde il primo presidente di sinistra nella storia della Colombia. Il clamoroso omicidio del senatore Miguel Uribe Turbay, candidato alla presidenza per il centrodestra, colpito da tre colpi di pistola alla testa in pieno giorno per mano di un ragazzino di 15 anni, rimasto in bilico tra la vita e la morte per 64 giorni prima di cedere alle ferite l’11 agosto scorso, aveva già scosso il clima politico adesso in fibrillazione sebbene manchino 11 mesi alle prossime elezioni presidenziali.
Vecchi e nuovi gruppi
La sicurezza torna al primo posto delle principali preoccupazioni. Nei sondaggi che fioccano in questi giorni, un terzo degli intervistati (36 per cento) lo considera il problema più grave del momento. Ben oltre il sistema politico (22 per cento), l’economia (16), la corruzione (9). Perché la gente, a parte i morti e i feriti, le bombe e gli assalti, guarda con apprensione alla mancanza di una chiara strategia che faccia uscire il Paese dalle secche di una violenza mai sopita. La nuova fase del conflitto è frammentata. Non c’è più il dominio delle vecchie Farc. Sul campo agisce una galassia di gruppi illegali. Cali, la capitale del Pacifico colombiano, è diventata la loro polveriera. Confina con il dipartimento di Cauca che assume, a sua volta, una posizione strategica per le rotte del narcotraffico grazie all’accesso al mare. Lo smantellamento e il disarmo delle Farc ha lasciato il campo libero a vecchi e nuovi gruppi. Più che politici sono narcoterroristi e tutti fanno sentire il loro peso per accedere al tavolo delle trattative che il presidente Petro ha subito messo in piedi appena eletto.
Tra questi ci sono l’Esercito di liberazione nazionale (Eln), ultima formazione di guerriglia armata, e il Clan del Golfo, una banda di narcotrafficanti ereditata dai gruppi paramilitari. Mentre con il primo il negoziato resta in stallo dopo un violento attacco all’inizio dell’anno nella regione del Catatumbo, al confine con il Venezuela, che ha provocato lo sfollamento di 60 mila persone, con il secondo era stata avviata una nuova serie di trattative in Qatar che sono adesso naufragate. Per placare le proteste di parte dei colombiani Gustavo Petro ha affermato che i due gruppi dissidenti delle ex Farc e il Clan del Golfo d’ora in poi “saranno considerate organizzazioni terroristiche perseguibili in qualsiasi parte del mondo”.
Il presidente respinge le accuse dell’opposizione che parlano di “ritorno alle peggiori violenze del secolo scorso”, nega che ci sia un aumento del tasso di omicidi. Le bolla come “percezione” errata o semplicemente “una bugia mediatica”. Non riesce a cogliere il senso e la portata della crisi che investe la Colombia. Cerca consenso tra i militari. Lo aveva già fatto nel marzo scorso rompendo una lunga tradizione: aveva nominato il generale in pensione Pedro Amulfo Sánchez come ministro della Difesa, il primo ufficiale militare dalla Costituzione del 1991. Erano tornati i toni duri, gli accenti militari. Esercito e polizia avevano ripreso l’iniziativa. Ma era palpabile il deterioramento della sicurezza. Sia la Croce Rossa Internazionale sia gli altri uffici civici sostengono che la Colombia sta attraversando la peggiore situazione umanitaria degli ultimi 8 anni, dalla firma dell’accordo di pace con le Farc.
Le tensioni con il Venezuela
L’offensiva dei gruppi armati più o meno grandi è cresciuta nel corso dei mesi. Sono aumentate le tensioni con il Venezuela. Nicolás Maduro vede nemici ovunque e si sente accerchiato dagli Usa che hanno spedito nel mare dei Caraibi decine di navi compreso un sottomarino nucleare dopo aver dichiarato Maduro il più grosso narcotrafficante dell’area, alla guida del Cartello de Los Soles, così chiamato per i soli che fregiano le spalline degli alti gradi dei militari venezuelani. È raddoppiata la taglia per la sua cattura. Decine di migliaia di soldati sono ammassati lungo i due lati della frontiera. I droni armati in modo artigianale sono diventati l’arma preferita anche dei narcoterroristi. L’esercito ammette di non essere attrezzato per fronteggiarli e cerca di correre ai ripari. Ci vorrà tempo e denaro. Che spesso non ci sono.
Elezioni in vista
La partita diventa tutta politica quando anche la destra si mobilita in vista delle prossime elezioni. L’ultima domenica di ottobre si terrà il referendum che eleggerà il candidato della sinistra. Il favorito è Iván Cereda, senatore, nemico giurato dell’ex presidente Álvaro Uribe. Il quale non si potrà candidare ma è in grado di attrarre i voti utili a far vincere la destra. I due si scontrano da una decina di anni. In Parlamento e in tribunale. Il primo aveva accusato il secondo di aver formato uno squadrone della morte responsabile di sequestri e omicidi. Uribe lo aveva denunciato, il caso era finito in un’aula di giustizia. Ma alla fine è stato il grande leader dei conservatori colombiani ad essere condannato a 12 anni per aver cercato di corrompere dei testimoni che confermavano le accuse. Adesso, per il fronte guidato del Centro democratico, è sceso in campo il padre del senatore assassinato, Miguel Uribe Londoño. Tiene vivo il ricordo del figlio ucciso e rilancia, con una retorica infiammata, il tema della sicurezza. Ne approfittano i gruppi armati, sempre più agguerriti. A loro interessa poco il piano per la “pace totale”. Può anche fallire. Puntano a conquistare nuovi territori. L’importante è continuare a trafficare in droga, armi, oro e migranti.