la Repubblica, 3 settembre 2025
Sentenza corte Usa “Google non deve vendere Chrome”
Google non dovrà cedere Chrome, il motore di ricerca più popolare a mondo, per mettere fine al suo monopolio nella ricerca online. Lo ha stabilito la giudice Amit Mehta in quella che è diventata un’altra storia americana di sopravvivenza e potere. L’annuncio ha fatto schizzare le quotazioni della compagnia: a Wall Street il titolo ha guadagnato oltre sei punti.
Il giudice ha riconosciuto che Google è monopolista nella ricerca online, come già stabilito l’anno scorso, e ha imposto alcuni rimedi: ha vietato alla compagnia di stipulare accordi in esclusiva per rendere Google Search, e i suoi prodotti collegati come Chrome, Assistant e Gemini, il motore o servizio predefinito. Google non potrà più pagare Apple, Mozilla, Samsung o altri per avere la propria ricerca come opzione unica o principale. La compagnia perderà contratti enormi, gli utenti avranno più possibilità di scelta, la concorrenza avrà più spazio, ma alla fine non ci sarà la cessione forzata di un asset chiave ed elimina una delle maggiori minacce al proprio impero Quella emessa ieri segue la storica sentenza dello scorso anno, in cui Mehta aveva stabilito che Google aveva violato le leggi antitrust americane, mantenendo un monopolio nella ricerca online. «Google è un monopolista – aveva scritto nella sentenza – si è comportata come tale per mantenere il suo monopolio». Lo scontro legale tra il colosso tecnologico e il dipartimento di Giustizia, insieme a una coalizione di Stati, aveva portato alla più grande sentenza su un monopolio dai tempi di Microsoft, quasi 30 anni fa.
Il dipartimento di Giustizia aveva chiesto al tribunale di Washington di obbligare Google a vendere il browser Chrome, a porre fine agli accordi multimiliardari di esclusiva con Apple e gli altri per rendere Google il motore di ricerca predefinito su browser e smartphone, e a condividere i dati di ricerca con i concorrenti.
Durante le tre settimane di udienze cominciate ad aprile, ha testimoniato anche Sundar Pichai, ceo della capogruppo Alphabet, il quale ha sostenuto che le proposte del dipartimento equivalevano a una “cessione di fatto” del business di ricerca. Pichai aveva avvertito il governo che le proposte del governo avrebbero avuto «molte conseguenze indesiderate». OpenAI aveva dichiarato di voler acquistare Chrome, mentre all’inizio del mese Perplexity ha offerto 34,5 miliardi di dollari per l’acquisto. Anche Search.com e Yahoo erano interessate. In gioco c’è il mercato dell’intelligenza artificiale.
Google ha promesso di ricorrere in appello contro la sentenza originale che la definiva monopolista. Potrebbero volerci anni prima di un esito definitivo, ma l’obiettivo è togliersi una etichetta che sta scomoda ed è considerata odiosa alla casa di Mountain View. Quartier generale dove però ora si tira un sospiro di sollievo per il mantenimento di Chrome, quello che è in prospettiva il principale asset su cui costruire il business di domani.