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 2025  settembre 02 Martedì calendario

Flat tax, la competizione fiscale a perdere

Era la tassa minima del 2% sulle grandi ricchezze, idea dell’economista Gabriel Zucman fatta propria dal Partito socialista, il vero bersaglio di François Bayrou. Il premier francese si sta giocando il tutto per tutto in vista del voto di fiducia sul suo governo, previsto per l’8 settembre, e in tv ha voluto premurarsi di bocciare quella proposta. L’ha definita “una minaccia per gli investimenti in Francia” e, per sostenere la tesi, ha citato “politiche di dumping fiscale” con cui l’Italia attrae i super ricchi stranieri spaventati dalle patrimoniali. Uscita sgangherata, ma nel merito non c’è evidenza che allettare i Paperoni con una tassazione di favore sia una strategia vincente per la crescita economica. Né che chiedere loro di pagare le tasse li faccia fuggire all’estero. Evidente, invece, è che il dumping più dannoso è tra i Paesi Ue sul reddito delle imprese, che danneggia l’intera Unione.
Giorgia Meloni ha avuto buon gioco nel replicare a Bayrou spostando l’attenzione sulle pratiche “che sottraggono alle nostre casse pubbliche ingenti risorse”. E ricordando che il suo governo “ha raddoppiato l’onere fiscale forfettario in vigore dal 2016”. In effetti dallo scorso anno la flat tax da 100mila euro sui redditi prodotti all’estero, introdotta dal governo Renzi, è stata portata a 200mila. Ma è stato solo un modo per far cassa, mentre le adesioni continuano a crescere (nel solo 2023 sono state 1.495). Il raddoppio non ha reso meno iniquo un regime che qualche mese prima l’Osservatorio fiscale europeo guidato proprio da Zucman aveva giudicato il più dannoso tra quelli adottati nella Ue perché beneficiava solo pochi individui estremamente ricchi. “Il design della misura è aggressivo e non è stata fatta alcuna valutazione di impatto”, spiega Quentin Parrinello, policy director dell’Osservatorio. Tradotto: nessuno sa se stia raggiungendo l’obiettivo di favorire gli investimenti in Italia, o si tratti di un regalo fiscale a manager, imprenditori e sportivi professionisti senza ottenere nulla in cambio. La Corte dei Conti propende per la seconda ipotesi perché la norma continua a non “esigere un effettivo e tangibile collegamento con la realizzazione di investimenti produttivi nel nostro Paese”. Unico effetto indiscutibile, su cui concordano tutti, è quello di dopare il mercato immobiliare di Milano, principale destinazione dei milionari e miliardari transfughi in Italia. L’esplosione dei prezzi delle case extralusso ha trainato quelli delle abitazioni meno prestigiose, espellendo dalla città i cittadini comuni.
Nelle cronache del Financial Times la nuova attrattività di Milano – favorita anche da tasse di successione irrisorie – faceva da contraltare a un presunto “esodo” dalla Gran Bretagna dopo la cancellazione del troppo generoso “res non dom”, regime che consentiva ai super ricchi di non pagare le tasse su redditi e plusvalenze esteri né l’imposta di successione sul patrimonio fuori dal Regno Unito. Ma un’analisi di Tax Justice Network, gruppo di pressione per la giustizia fiscale, ha dimostrato che l’esodo non esisteva. I dati sui milionari “in fuga” da Londra e dintorni arrivavano da una fonte in conflitto di interessi, Henley & Partners, società di consulenza ai molto abbienti su come ottenere passaporti dorati o residenze fiscalmente convenienti: rapportati al numero assoluto dei super ricchi stabiliti nel Regno Unito gli scappati erano solo lo 0,6% del totale. Insomma, una “narrazione” per premere sulle Finanze britanniche che dall’eliminazione del regime di favore contano di incassare oltre 4 miliardi di sterline nel primo biennio.
Quella del governo laburista inglese, che ha peraltro confermato una decisione presa dal precedente esecutivo conservatore di Rishi Sunak, è stata la mossa più muscolare. Ma altri Paesi iniziano a tagliare i cadeaux fiscali a favore di piccoli gruppi di contribuenti. Il Portogallo ha bloccato il regime che aveva reso il Paese un paradiso per i pensionati del resto d’Europa. La Svizzera a novembre sottoporrà a referendum la proposta di una tassa del 50% sulle successioni e donazioni di patrimoni sopra i 50 milioni di franchi, senza esenzioni per coniugi e figli. In Francia la tassa del 2% sui patrimoni sopra i 100 milioni, che colpirebbe 1.800 famiglie, ha ottenuto l’endorsement di sette premi Nobel per l’economia ed è entrata nella legge di Bilancio “alternativa” presentata dai socialisti. “Non cambierebbe nulla per l’attrattiva del nostro Paese per gli investimenti esteri”, ha scritto Zucman rispondendo alle critiche di Bayrou. “La scelta è se tollerare l’attuale ingiustizia fiscale o rimediare e recuperare 20 miliardi”.
Ma il vero fronte del dumping fiscale, più che sul reddito delle persone fisiche, è su quello delle imprese. Una concorrenza sleale nella quale alcuni Paesi Ue sono tra i massimi esperti globali. Il primo fronte è quello legislativo: aliquote fiscali più basse per le società e altre norme favorevoli “spostano” gli utili, spesso a scapito di altri Paesi europei. Ad aprile l’Osservatorio fiscale Ue ha analizzato le riforme sul fisco per le imprese condotte dagli Stati Ue tra il 2014 e il 2022 con 295 leggi, quasi il 60% delle quali mirato a ridurre l’imposta sulle società: l’aliquota effettiva media d’imposta è calata del 2,7%. Le riforme della base imponibile sono state l’86% del totale e per il 67% l’hanno ristretta, con una media di 15 l’anno nell’Unione e di una ogni due anni in ogni Paese.
Anche il rapporto 2024 di Tax Justice Network rilevava che alcuni stati europei sono responsabili di oltre il 70% del rischio di erosione della base imponibile globale sui redditi aziendali. Il Regno Unito svettava causando il 26% delle perdite di gettito globali, mentre nella Ue Olanda, Cipro, Irlanda e Malta erano i principali facilitatori dell’elusione, con perdite globali per circa 416 miliardi l’anno.
La guerra è anche tra Paesi Ue. Secondo una analisi polacca del 2020, all’epoca l’Unione Europea perdeva 170 miliardi l’anno per il dumping fiscale transfrontaliero. La semplice eliminazione del trasferimento degli utili societari nei paradisi fiscali avrebbe consentito il recupero di 420 miliardi. A perdere più gettito societario erano Germania, Regno Unito e Francia, a beneficiarne erano sei paradisi fiscali interni alla Ue: Belgio, Cipro, Irlanda, Lussemburgo, Malta e Olanda. All’epoca l’Italia perdeva il 19% dell’imposta totale sui redditi societari, di cui il 16% per trasferimenti infra-Ue. Nell’Unione l’Italia era il quinto Paese più colpito dopo Germania (-29% del gettito societario, di cui -22% infra Ue), Ungheria (-24%) Francia (-23%) e lo stesso Regno Unito (-21%). A beneficiarne erano Olanda (oltre 7 miliardi di gettito “importato” ogni anno), Irlanda (4,9 miliardi), Belgio (2,3), Lussemburgo (1,4) e Malta (600 milioni). Altro che flat tax.