La Stampa, 2 settembre 2025
Intervista a Elsa Fornero
«Le mie estati da piccola, negli Anni 50, erano legate a San Carlo Canavese dove vivevamo con la famiglia, la scuola finiva e di quel periodo mi è rimasta nel cuore la spensieratezza della vita da bambini di borgata. Poche persone in quel tempo andavano a fare i soggiorni al mare, passavamo il tempo a giocare nei luoghi a noi cari e la cosa ci rendeva gioiosi». Sono alcuni ricordi delle ferie estive, vissute da bambina e adolescente, di Elsa Fornero, economista ed ex ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali durante il Governo Monti.
Come trascorreva quelle estati?
«Alla fine degli Anni 50 in casa di mia zia Domenica arrivò la prima televisione del paese, lei non aveva figli, ma la comprò per fare un regalo a noi ragazzini della borgata. Avevamo una grande passione per la serie del pastore tedesco Rin Tin Tin, per noi era diventato un appuntamento consueto, si andava dalla zia a mangiare mele e biscotti guardando la tv. Poi, dopo la televisione, andavamo a giocare agli indiani e ai cowboy nei prati che c’erano intorno alle case dove abitavamo».
Era il vostro mondo di fantasia?
«Per gioco replicavamo le scene che avevamo visto alla televisione. Il tenente Rip era alto, bello, l’idolo di noi ragazzine dell’epoca. Nella serie tv i protagonisti utilizzavano una specie di fucile chiamato flobert, che i maschi del gruppo riproducevano imbracciando un pezzo di legno. Quello era il nostro mondo di fantasia che portavamo all’interno della quotidianità».
Quelle estati erano fatte solamente di gioco?
«No di certo, le case di campagna portano sempre molto lavoro, ricordo che a volte nel mese di luglio si andava alle 2 del pomeriggio a girare l’erba sotto il sole per fare il fieno. Poi, verso sera, bisognava ancora rastrellare e fare i mucchi, per evitare che la pioggia potesse rovinare tutto. Era un tipo di lavoro che odiavo, ma quelle estati in campagna mi hanno insegnato la cultura dell’impegno».
Della sua famiglia cosa ricorda?
«Ricordo mio padre che portava sulla sua Vespa me insieme alle mie sorelle Carla e Rita. Si andava alle feste paesane nei dintorni e a fare qualche giro sulle giostre. La Vespa esiste ancora ed è ben curata da mio cognato».
Torna sempre in quei posti?
«Assolutamente sì, c’è ancora la casa di famiglia che dividiamo io e mia sorella; nei weekend andiamo a San Carlo per fare delle piacevoli camminate. Anche se amo molto viaggiare e incontrare persone e mondi diversi, in quel luogo ci sono sempre le mie radici».
Facevate anche delle gite estive?
«A volte partecipavamo alle gite nei santuari di Belmonte e di Sant’Ignazio nelle Valli di Lanzo. Oppure, insieme ai genitori e ad amici di famiglia e parenti, andavamo al massimo a Viù e Groscavallo».
Le capita ancora di vedere gli amici di un tempo?
«Sì, con alcuni di loro siamo rimasti in amicizia. Capita di incontrarci soprattutto la domenica mattina in occasione della messa».
Poi come proseguirono le sue estati?
«Fu sempre zia Domenica, che noi chiamavano Chinota, a portarci al mare in Liguria. Soggiornavamo in una pensione a Bordighera oppure a Diano Marina. All’epoca avevo circa 15 anni, ma quelle vacanze non mi piacevano tanto».
Crescendo come cambiarono le sue estati?
«Durante l’università, quando avevo 20 anni, feci un soggiorno di studio in Inghilterra, a Brighton, per approfondire lo studio della lingua. Facevo lezioni private grazie ai miei risparmi e all’aiuto dei miei genitori».
Poi ci fu la scoperta di Londra.
«La conobbi quando con il mio fidanzato, Mario, che poi diventò anche mio marito, trascorremmo lì le vacanze. Facevamo delle lunghe camminate, si seguiva un sentiero che portava a un cottage dove bevevamo il tè, insieme a delle specie di brioche a cui si aggiungeva la panna. Facevamo base a Londra dai nostri storici amici inglesi, ma da lì ci spostavamo per vedere il resto della Gran Bretagna».
Qual è stata la vacanza estiva più indimenticabile?
«Fu quella insieme alla mia amica londinese Sonia e a suo marito David. Lei faceva parte del National Trust e ci chiese di affittare con loro un cottage, un vicariato che si trovava nella località di Coombe, nel Cotswolds. Era il 1984, di quella vacanza ricordo soprattutto il mare e le lunghe camminate sulle coste alte e rocciose».
Un altro posto del cuore.
«In quella vacanza affittammo una macchina, sperimentando per la prima volta la guida a sinistra. Viaggiare per quei villaggi ascoltando le musiche di Neil Diamond alla radio ci dava un grande senso di libertà. Le strade del Cotswolds erano spesso racchiuse e infossate fra due alte siepi, però ogni tanto il paesaggio si apriva e si vedevano immensi prati dove pascolavano le mucche».
Di quel mare cosa ricorda in particolare?
«Dopo le maree, ogni mattina il mare si ritirava e camminando lungo il bagnasciuga riuscivi a vedere un brulicare di piccoli animali marini, pomodori di mare urticanti, stelle marine e conchiglie. C’era il pulsare vivo di tutte quelle bestioline che il mare ritirandosi lasciava dietro di sè».
Come sta trascorrendo questa estate?
«Ogni estate, anche grazie ai nostri cugini, abbiamo preso l’abitudine di trascorrere una settimana in Sardegna, che secondo me ha il più bel mare d’Italia, sempre fresco e un po’ frizzante. E poi facciamo molte conversazioni riguardo a svariati temi che vanno dall’economia alla politica, fino ai fatti di attualità. Dopo questa parentesi passata in Sardegna, trascorriamo sempre due settimane a Courmayeur. Prima e dopo tutto questo siamo in campagna, a San Carlo Canavese, il vero posto del cuore».