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 2025  settembre 02 Martedì calendario

La meme politica

Nel 2014, la studiosa di media digitali Limor Shifman affermava che la nostra realtà è regolata da una logica “ipermemetica”, dove qualsiasi avvenimento genera un flusso di meme. Undici anni dopo, questa affermazione è più vera che mai: i meme sono entrati a far parte del nostro quotidiano, grazie a milioni di persone che ogni giorno li condividono con familiari, amici e conoscenti. Oltre a commentare eventi in tempo reale, i meme trovano spazio nelle campagne elettorali, dove catturano l’attenzione di pubblici giovani, creando inaspettati intrecci tra linguaggio istituzionale e cultura pop. Un esempio emblematico è il meme Kamala is brat che ha trasformato la vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris in un simbolo di dialogo con la generazione digitale.
Per chi ancora non li conoscesse, i meme sono contenuti digitali, tipicamente video o immagini, che circolano sul web e, in particolare, sulle piattaforme social. Così come lo vediamo oggi, il meme nasce dalla cultura partecipativa del web degli Anni 90 e 2000: un ecosistema digitale dove gli utenti partecipano attivamente alla produzione culturale, generando e diffondendo contenuti in modo capillare e decentralizzato.
Negli ultimi anni il fenomeno memetico si è ampliato, influenzato da nuove pratiche di creazione e condivisione: si pensi all’enorme popolarità di TikTok, che attira le fasce più giovani (ma non solo) della popolazione verso la creazione e il consumo di brevi video. TikTok viene definita una piattaforma memetica, poiché invita gli utenti a riutilizzare e remixare materiale già esistente (suoni, immagini, interi video) per dar vita a nuovi contenuti. Visto come un canale privilegiato per arrivare alle nuove generazioni, politici italiani come Giorgia Meloni e Matteo Salvini sono da anni iscritti a TikTok, dove hanno pubblicato video ironici adattandosi alla logica della piattaforma.
Secondo Ryan M. Milner, professore di comunicazione al College of Charleston, i meme sono la quintessenza della cultura partecipativa del web. Ma è davvero così?
Negli ultimi anni, si sono moltiplicate le pagine dedicate specificamente alla produzione di meme, che raccolgono milioni di follower sulle principali piattaforme social. L’antropologa digitale Crystal Abidin le ha definite «meme factories» (fabbriche di meme), ossia account specializzati nella produzione e nella distribuzione di meme in maniera quasi industriale, caratterizzati da una logica di produzione centralizzata e dall’uso di format riconoscibili.
Uno studio sul modo in cui la crisi di governo italiana del 2019 fosse stata inquadrata attraverso i meme, condotto assieme al collega Ilir Rama, ha evidenziato come la maggior parte dei contenuti provenissero da pagine memetiche, che si servivano di questi strumenti per commentare i fatti politici quasi in tempo reale. I meme analizzati usavano immagini iconiche riprese dai media e dalla cultura popolare per rappresentare rapporti di potere, alleanze politiche, rivalità e posizionamenti nel panorama politico.
Le pagine memetiche non sono quindi semplici archivi di contenuti, ma veri e propri attori influenti nella cultura digitale che contribuiscono alla circolazione di specifiche narrazioni e messaggi politici. Pur nascendo come pagine satiriche, in alcuni casi queste pagine danno vita a vere e proprie forme di supporto politico espresse tramite meme. È il caso del “fandom” politico nato attorno alla figura di Giuseppe Conte durante la pandemia, originato da alcune pagine Facebook e Instagram che hanno sfruttato i meme per mescolare satira e celebrazione del leader. Questo mix di ironia ed esaltazione mostra come i meme politici possano modellare percezioni e creare nuovi modi di interazione tra cittadini e figure pubbliche.
Le pagine memetiche dimostrano infine come, per alcuni, la pratica di creazione del meme abbia smesso di essere un semplice passatempo e sia diventata una forma di lavoro. Molti amministratori di pagine memetiche aprono questi account quasi per gioco e, inaspettatamente, accumulano un gran numero di follower, passando da mematori amatoriali a veri e propri content creator.
Essere un content creator oggi significa molto più che produrre contenuti: vuol dire interfacciarsi con piattaforme dalle logiche complesse e non sempre trasparenti per ottenere visibilità e, potenzialmente, un ritorno economico. In questo caso, significa anche veder riconosciuta e protetta la paternità di un tipo di contenuti che, per sua natura, è destinato a essere riappropriato e riusato infinite volte. L’esempio delle pagine memetiche ci dice qualcosa su come la cultura del lavoro stia cambiando, specialmente tra le nuove fasce generazionali, anche grazie all’emergere di professioni come quella del content creator.
In conclusione, il fenomeno memetico sta sicuramente cambiando, passando dall’essere unicamente un movimento di inclusione polivocale a contenuto digitale politicizzato e commercializzabile. C’è quindi bisogno di riflettere sull’impatto che questi oggetti digitali, assieme a coloro che li creano e li diffondono (specialmente quando si tratta di pagine da milioni di followers), hanno sul modo in cui le questioni sociali, culturali e politiche vengono veicolate e percepite.