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 2025  settembre 02 Martedì calendario

Mediterranea, punita per aver salvato: 60 giorni di fermo e 10 mila euro di multa

Sessanta giorni di fermo e una multa da diecimila euro. Il Viminale ha usato la mano durissima contro Mediterranea, la nave dell’omonima ong italiana, sbarcata a Trapani il 24 agosto, disobbedendo all’ordine di raggiungere Genova. Nonostante sia alla prima missione, si è deciso di imporre la sanzione più dura prima della confisca, ipotesi che secondo indiscrezioni i tecnici del ministero avrebbero seriamente vagliato. Da quando il decreto Piantedosi è entrato in vigore, è uno dei fermi più lunghi imposti alle imbarcazioni della flotta civile.
L’appiglio per punire così duramente una nave nuova, alla sua prima missione nel Mediterraneo, è tecnico. Il comandante Pavel Botica – si sostiene – in passato guidava la Sea Eye4 e in quella veste ha già ricevuto un fermo, contestato dall’ong tedesca e su cui ancora pende ricorso. Per il ministero, che tramite la prefettura di Trapani ha notificato ieri il provvedimento, che la nave abbia cambiato nome e armatore non rileva, rimane la stessa.
Hanno fatto valere le modifiche al decreto Piantedosi inserite nell’ultimo decreto flussi che rendono ancora più semplice il fermo prolungato delle navi. Per provare la reiterazione adesso non è necessario che a commettere una violazione siano lo stesso comandante o la stessa nave, ma basta che a inciampare in un nuovo provvedimento siano la medesima imbarcazione, capitano o armatore.
Profili su cui i legali Lucia Gennari e Cristina Cecchini di Mediterranea stanno lavorando anche sulla base di quanto statuito dalla Corte costituzionale nella recente sentenza con cui ha stabilito che sì, il fermo delle navi è legittimo, ma deve essere proporzionato.
“Ci viene contestata la ‘grave, premeditata e reiterata’ disobbedienza all’ordine del Viminale di raggiungere il lontano porto di Genova con naufraghi a bordo soccorsi a centinaia di miglia di distanza, traumatizzati e provati non solo dalla detenzione libica, ma anche dal tentato omicidio di cui sono stati vittime in mare. Secondo il governo Mediterranea è colpevole di aver invece agito per garantire al più presto possibile le necessarie cure mediche e psicologiche a terra per queste 10 persone”, tuonano dall’ong, che annuncia immediato ricorso.
Nel corso della sua prima missione, i team hanno soccorso dieci ragazzini, fra i 14 e i poco più di 20 anni, lanciati in acqua con violenza in piena notte fra onde alte un metro e mezzo. Una situazione di estremo pericolo – di notte è facile essere trascinati via dalle onde o nascosti – che solo grazie ai team, già in acqua, non si è trasformata nell’ennesima strage.
“Quello che non si tiene assolutamente in considerazione è la non lesività della condotta di nave ed equipaggio e che le persone portate a Trapani fossero vittime del reato”, spiega l’avvocata Cecchini. La motivazione del provvedimento, osserva, è quanto meno lacunosa. “Sostanzialmente si contesta solo di non aver seguito gli ordini”. E priva di logica: se la ratio della prassi dei porti lontani è non saturare gli approdi del Sud, in che modo dieci persone avrebbero potuto costituire un problema a Trapani?
Ma per il Viminale “dai report e dalle interlocuzioni avvenute tra gli enti competenti in relazione ai profili sanitari, non è emersa in alcun momento la sussistenza di condizioni di pericolo per la salute e la vita tali da imporre un’evacuazione d’urgenza delle persone a bordo”. Qualora ci fosse stata la necessità, aggiungono, si sarebbe predisposto un medevac, un trasporto sanitario urgente e neanche le condizioni meteo imponevano un cambiamento di destinazione.
Nessun riferimento però viene fatto né alla relazione tecnica del Cir, centro internazionale radiomedico, consultato su indicazione del centro di coordinamento e soccorso della Guardia costiera, che con una formale comunicazione aveva consigliato lo sbarco immediato, tanto meno la certificazione Rina che impone a Mediterranea di non superare le 200 miglia dal punto di soccorso.
“Mediterranea, il suo comandante, il suo capomissione, il suo equipaggio di mare e di terra, hanno agito secondo il diritto marittimo, nazionale ed internazionale, e secondo i principi di umanità e giustizia che dovrebbero caratterizzare ogni atto pubblico delle istituzioni, che al contrario usano invece i loro poteri per una continua ed odiosa propaganda elettorale permanente”, tuonano dall’ong italiana. “Disobbedire ad un ordine illegittimo ed illegale è questione di dignità – sottolineano – la nostra azione, che oggi causa le catene e l’arresto di una nave che potrebbe soccorrere per sessanta giorni, ha prodotto ‘qui ed ora’ l’immediato sbarco in un porto sicuro di dieci naufraghi, il porto più vicino possibile non il più lontano immaginabile, e questo era quello che ci interessava”. E promettono: “A Piantedosi, alle sue catene, continueremo a rispondere “SignorNO!” perché non siamo sudditi”. Adesso la parola passa al tribunale.