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 2025  settembre 02 Martedì calendario

“Nonno Camilleri ormai cieco mi ha dettato l’ultimo libro. Recitava le parti, era teatro”

Il nonno dettava, Arianna scriveva. Il nonno ormai era cieco, ma lo abitavano parole bellissime. personaggi e mondi mai visti nemmeno da chi ci vede. Nell’ultimo anno della sua lunghissima vita iniziata esattamente cent’anni fa, il 6 settembre 1925, Andrea Camilleri chiese alla nipote Arianna Mortelliti, figlia di sua figlia Andreina, la primogenita, di aiutarlo a scrivere un libro.
L’ultimo. Lei era solo una ragazza, non una scrittrice: lo sarebbe diventata poi. La loro avventura insieme ci regalò Autodifesa di Caino (Sellerio), ma ad Arianna ha dato molto di più.
Perché il nonno lo chiese proprio a lei?
«Non lo so, e non me l’aspettavo. Andavamo d’accordo, ci assomigliavamo. Sono stata, in qualche modo, la sua pagina bianca. Mi ha insegnato a non giudicare mai niente e nessuno, nemmeno Caino».
Come funzionava la vostra fabbrica delle parole?
«Cominciammo con le ricerche, dalla Bibbia in giù. Le mettemmo in una cartella sul pc, ma il nonno non se le fece mai leggere: le aveva imparate a memoria. Quando cominciò a dettarmi, il libro l’aveva già tutto in testa, e a lavoro finito iniziò a ripeterlo, parola per parola.
Occorsero solo revisioni minime».
Che lavoratore era Camilleri?
«Uno stakanovista. Non c’erano Pasqua o Natale. Si alzava presto, faceva colazione, si vestiva di tutto punto e poi mi dettava il libro. Dopo pranzo e dopo il riposino si ricominciava fino a sera, e lui aveva già 93 anni. Nel frattempo, si ruppe pure il femore: uscì dall’ospedale una domenica, e il lunedì mattina eravamo di nuovo lì a scrivere.
Mettendo in scena i personaggi, cambiava le voci e faceva teatro: la stanza diventava un palcoscenico, e io quei personaggi li amavo tutti».
Ci dica del suo primo ricordo del nonno.
«Ho sei o sette anni, è l’alba, lui è già in piedi e io pure. Siamo nell’amata casa di Porto Empedocle. Il nonno sta declamando qualcosa a voce alta, fissando un punto. Mi avvicino, e mi accorgo che sta parlando a un piccione che lo osserva dal tavolo del salotto. Andrea Camilleri era un incantatore che sapeva ascoltare. Irresistibile».
È vero che possedeva una sensibilità molto femminile?
«Quando parlavamo, mi sembrava di essere in compagnia di un’amica saggia. Lui era sempre stato circondato da donne: la moglie, la mamma e la suocera che vivevano con loro, tre figlie e due nipoti femmine, in attesa del primo maschio. Mi sentivo capita. L’anno trascorso con lui è stato il più bello della mia vita. Sono felice, alla fine, di avergli detto grazie».
Che tipo era Camilleri, visto così da vicino?
«Un uomo buono e cocciuto, un po’ viziato da tutte quelle donne e incapace di invidia. Una persona amabile e impegnativa, perché intelligentissima. Un misto perfetto di calma e nevrosi. Anche gli animali lo stavano a sentire, persino il mio cagnolino, non solo quel famoso piccione».
Come visse l’enorme successo?
«Senza cambiare di una virgola: l’uragano si era abbattuto su di lui senza travolgerlo. Ho incontrato tanta gente che l’aveva conosciuto, e mi chiedo quante vite abbia vissuto mio nonno.
Ebbene, l’affetto che ancora lo circonda resta impressionante».
Torniamo in quella stanza, con voi due che scrivete.
«Era velocissimo nel dettare, e io temevo di perdere anche solo una parola, mi domandavo come l’avrei riacciuffata. Avevo la sensazione che quell’uomo cieco stesse leggendo da qualche parte il suo libro non ancora scritto. Il suo cervello aveva qualcosa di miracoloso. Ma le idee non gli venivano mai per caso: pensava tantissimo, in particolare la mattina presto, quando si metteva a passeggiare cercando il filo. E poi la sera, prima di dormire».
Cosa le raccontava?
«Le cose di quand’era ragazzo,di quando lasciò la Sicilia per trasferirsi a Roma. E poi l’Accademia di arte drammatica, gli anni in Rai, i radiodrammi che amava moltissimo. Quasi tutte cose prima di Montalbano, pur così importante per lui».
Secondo lei, c’è un Camilleri che andrebbe conosciuto meglio?
«Forse quello della trilogia sulle metamorfosi, fiabe per adulti oltre la ragione, che è anche il tema dell’ultima edizione del premio che abbiamo creato per ricordare Camilleri nei suoi vari ambiti: fiabe, radiodrammi, racconti e poesie».
Quanto resiste di siciliano in tutto questo?
«È un sentimento che ci scorre nel sangue prima che nelle parole. Io sono romana, mia mamma pure, ma quando vado in Sicilia sento che è quella la mia casa».
Cos’era l’empatia, per Camilleri?
«Mettersi davvero nei panni degli altri, fossero Eva, Dio, Adamo o il vicino di casa. Lui mi ha cambiato il modo di guardare. Dei genitori e dei nonni si sa sempre troppo poco: dovremmo riempirli di domande, finché siamo in tempo».
Come ha vissuto la sua perdita?
«Con grande rabbia, soprattutto all’inizio. Ma come, pensavo, me lo portate via proprio adesso?»