Robinson, 31 agosto 2025
“I tech-bro amano una sola cosa il denaro”
«Fatemi fare una battuta: se alle ultime elezioni avesse vinto Kamala Harris, Mark Zuckerberg si sarebbe definito con il pronome neutro “loro”». Il sodalizio del re di Meta e dei colleghi big della Silicon Valley con l’amministrazione Trump – che per mesi ha occupato le prime pagine dei giornali – non ha certo sorpreso Kara Swisher.
Giornalista e autrice americana, nel corso della sua carriera è diventata una figura di culto nel mondo dell’innovazione, quasi al pari dei protagonisti dei suoi acuminatissimi articoli. «I tech-bro sono pronti a tutto pur di guadagnare», ci dice al telefono da San Francisco. «Si considerano influenti, convinti di dover imporre le proprie idee alla popolazione. Ma della gente, in realtà, a loro non importa nulla».
Giudizi che ripete da tempo. Non era stata tenera neppure nel 2016, all’inizio del primo mandato Trump, in occasione dell’incontro tra il neopresidente e i titani della tecnologia: «E così, il 14 dicembre scrive in uno dei passaggi più taglienti del suo Burn Book (Apogeo, 2024) – coloro che chiamo sheeple (neologismo nato dall’unione delleparole inglesi sheep, pecore, e people, persone) e che avevano contribuito a inventare il futuro, sono entrati dall’ingresso posteriore della Trump Tower per sostenere un fascista».
Quello con la Silicon Valley è un rapporto d’amore che si è inasprito nel tempo.
Swisher ha iniziato a seguire le nuove tecnologie per il Washington Post e il Wall Street Journal quando i media tradizionali ancora faticavano a coglierne l’impatto. Ma non è mai stata un’osservatrice passiva.
Giornalista, poi evoluta in analista e talvolta anche in attivista, si descrive nel memoir che non ha un indice, perché, come spiega lei stessa, ogni retroscena o aneddoto nasce da trent’anni di conversazioni con i leader tech, molti dei quali intervistati sul palco delle conferenze “All Things Digital”, diventate un riferimento globale. Ma Kara è stata anche una pioniera dei podcast. On with Kara Swisher e Pivot sono oggi tra i più ascoltati da chi vuole comprendere il potere (e le derive) del mondo tech.
Da Zuckerberg, che definisce «l’uomo più pericoloso», a Jeff Bezos ed Elon Musk, «l’imprenditore che più l’ha delusa», ha raccontato i grandi della Silicon Valley restituendone non solo il profilo imprenditoriale, ma anche quello profondamente umano, con tutte le sue ombre.
Ne emergono ritratti di visionari geniali, ma spesso privi di senso etico. E proprio per questo, Swisher denuncia la mancanza di responsabilità sociale e i rischi che ne derivano per milioni di persone nel mondo.
Lei smonta l’immaginario di una Silicon Valley popolata esclusivamente da geni infallibili.
«Gli artisti sono i veri geni e l’Italia ha dato i natali ai più grandi. Leonardo da Vinci ha creato e innovato più di tutti loro messi insieme, con pochissimi strumenti».
Ha spesso segnalato la mancanza di regole. Un vuoto che Trump di certo non colmerà.
«La sua amministrazione ha adottato un approccio non interventista ed è così che ci siamo ritrovati in questo caos. L’industria tech si oppone a qualsiasi regolamentazione, sostenendo che limiterebbe l’innovazione. Con la stessa logica, anche i produttori di sigarette vorrebbero aggiungere sostanze che provocano maggiore dipendenza per vendere di più; eppure, non dovrebbero farlo, o almeno dovrebbero dirlo chiaramente. Nessuno vuole regole: si guadagna di più se non devi spendere per installare unfiltro in un impianto che inquina i fiumi. Il governo dovrebbe proteggere i cittadini, non essere controllato dalle grandi aziende.
Quando gli azionisti diventano la priorità, le conseguenze non sono mai buone. I giganti della Silicon Valley non sono necessariamente cattivi: sono solo spinti dal denaro.
Ma se gli amministratori sbagliano, almeno li abbiamo eletti. Io, però, Mark Zuckerberg non l’ho mai votato».
L’uso spregiudicato dei social media da parte del presidente ha trovato imprenditori conniventi o soltanto impreparati?
«È stato molto bravo, li ha usati bene. Dall’altra parte non credo abbiano fatto nulla per fermare i crimini d’odio. Certe persone hanno un’intuizione naturale. Che si tratti di Hitler, di Franklin D. Roosevelt con le radio o di John F. Kennedy con la tv».
Elon Musk tra imprenditoria e politica. Che peso potrà avere e come legge il “bromance” e poi il litigio con Trump?
«Quando ha rotto con Trump, ho subito pensato: non sparirà. Dopo le frasi su Epstein, tutti hanno rimarcato che si fosse scusato. Ma sapevo che non sarebbe durata. Lo conosco. Ricordate la battuta cult in Dirty Dancing, «nessuno puòmettere Baby in un angolo»? Tutti dicevano che Trump avrebbe potuto danneggiarlo. Ma io rispondevo sempre: a Elon non importa. Fa esplodere razzi, figuriamoci un’alleanza».
Che futuro lo aspetta?
«Resterà in politica. Conosce le leve del potere e sa che gli servono, soprattutto ora che punta allo spazio. Tutto ciò che lo interessa richiede l’appoggio del governo, quindi ha senso che voglia esserne parte. Ha una visione più globale rispetto a molti altri imprenditori. Non ha comprato Twitter solo per dire sciocchezze, ma per ottenere potere politico su scala mondiale».
È stata molto dura nel suo libro con Mark Zuckerberg. Perché?
«Era ignorante e aveva potere. Pensavo davvero che Meta sarebbe diventata l’azienda più influente, per questo mi sono concentrata su di lui. Non ho mai pensato che avesse un senso dell’etica forte. Proteggere le persone non era nella sua natura. La sua natura era il dominio. Oggi, quattro persone su cinque usano Facebook o un’altra piattaforma. Volevo far capire alla gente: “Quest’uomo non è qui per aiutarvi. Vuole aiutare solo sé stesso”».
Mentre con Steve Jobs ha avuto un rapporto conflittuale ma rispettoso.
«Lo trovavo interessante, riflessivo, intelligente, anche se non facile. Era onesto: non ha mai nascosto di voler trasformare Apple in un colosso. A me va bene che le persone siano ciò che sono, purché non prendano in giro gli altri. E credo che nessuno si sia sentito preso in giro da Jobs».
E tra gli innovatori di oggi chi vale la pena seguire?
«Nomi che ancora non conoscete. Ad esempio, ci sono aziende nel settore sanitario che trovo molto interessanti. Il figlio di Steve Jobs sta investendo in molti progetti in questo campo. E poi varie startup di giovani impegnati nel settore energetico».
Lei sottolinea come la Silicon Valley sia un mondo al maschile. Stanno cambiando le cose per le donne?
«No. L’intelligenza artificiale è dominata dagli uomini. È lì che ora vanno tutti i soldi ed è lì quindi che ci sono le opportunità. I leader tech si comportano come se fosse una meritocrazia, ma si tratta di una “specchiocrazia”. Si aiutano solo tra loro».
Quali sono i progetti su cui si concentra oggi?
«Sono stata pioniera nel podcasting,dopo esserlo stata nei media. Amo i podcast e ora li stiamo integrando con i video. Sono convinta che un giorno gli AirPods avranno video incorporati, interagiremo e ci daranno informazioni costantemente, guidandoci ovunque. Oggi mi occupo di longevità, salute e tecnologia. Si paragona spesso il cervello a un computer, ma il cervello è un miracolo, con miliardi di neuroni e un numero incalcolabile di connessioni. Pensare che i computer ci supereranno è quasi offensivo. Potrebbero farlo solo se creassimo noi le condizioni».