Robinson, 31 agosto 2025
Uno scrittore che cercava altri scrittori
Nel 1982 Pier Vittorio Tondelli ha 27 anni. Due anni prima Feltrinelli ha pubblicato il suo esordio, Altri libertini. Uno scandalo e una rivelazione. Nel 1982 esce il suo secondo libro, Pao Pao, sempre da Feltrinelli. Una piccola casa editrice di Ancona, Il Lavoro Editoriale (che di lì a poco diventerà Transeuropa), fondata da Massimo Canalini, Giorgio Mangani e Ennio Montanari, lo invita a presentare Pao Pao.Tondelli e Canalini non si lasceranno più, fino alla morte precoce di Pier Vittorio, nel 1991, e insieme – ma l’idea è di Tondelli – costruiranno qualcosa di straordinario e unico, che non si era mai visto prima né si ripeterà dopo, ma lascerà una traccia indelebile e produrrà cambiamenti irreversibili. Questa storia non è conosciuta come si crede, né è stata raccontata come si crede. Lo ha fatto, in modo molto personale ma con grande dovizia di particolari, Giulio Milani, oggi alla guida di Transeuropa, nel suo Codice Tondelli, in libreria dal 15 settembre.
Cosa si inventa dunque Tondelli da quella prima metà degli anni Ottanta fino alla morte? È uno scrittore famoso. Coltiva e cerca di consolidare il proprio successo, potere, spazio? Accudisce il proprio ego? Frequenta le amicizie “giuste”? No. Non è proprio il tipo. I Salotti e le Terrazze sono per lui Camere separate. Timido, tendenzialmente solitario, macurioso degli altri, della società, della vita, si dà una missione (credo sia la parola esatta): scovare i nuovi talenti della narrativa italiana, dedicare molta parte del suo lavoro a stanare e rendere visibili, dare voce ai possibili talenti altrui. Con un punto irrinunciabile: la voce deve essere quella dei giovani fino a 25 anni. Una scelta etica oltre che letteraria ed editoriale. Una scommessa difficile, tutt’altro che votata al successo.
Pier Vittorio non è un agente letterario, non è uno scout editoriale, non lo è stato almeno fino a quel momento. Per il suo progetto ha bisogno di un partner, di un complice, essenzialmente di un editore. Lo trova appunto in Massimo Canalini, personaggio unico, a dir poco complesso, raccontato ancora una volta, ancora naturalmente per Transeuropa, da Giulio Milani, il suo giovane pupillo dell’epoca, in Codice Canalini, uscito ai primi di dicembre del 2024, due mesi e mezzo dopo la scomparsa dello stesso Canalini.
Massimo Canalini per molto tempo esita, poi si convince. Almeno a tentare. Del resto un’impresa così azzardata non resta che iniziarla e vedere che cosa succede. L’idea non è quella un po’ sciocca e semplicistica della “scrittura collettiva”: è proprio dare ascolto, fare spazio a chi fatica a trovarli o non li trova per niente, spazi e ascolto, e farlo con il solo criterio della qualità dei testi. Come li cerca Tondelli questi nuovi talenti, sempre che ce ne siano e si lascino trovare? Siamo nel 1985, esce Rimini (che segna anche il passaggio molto importante da Feltrinelli a Bompiani), Tondelli, fra le altre cose, scrive su Linus e su Rockstar, le riviste più significative non solo della “cultura giovanile”, non scherziamo, ma gli strumenti che danno dignità “culturale” a consumi non tradizionali, a un certo tipo di musica, al fumetto – con la benedizione di Umberto Eco e di Oreste del Buono per citare solo un paio di padri nobili – riviste che finalmente picconano il muro che separava cultura “alta” e cultura “bassa”. Due articoli su Linus spiegano e lanciano il progetto, poi Pier Vittorio approfitta delle interviste sul suo terzo libro per continuare a parlarne, dando ovviamente anche tutte le indicazioni pratiche: cosa spedire, dove spedire. Sarà una valanga.
Giovani blues. Under 25 esce per Il Lavoro Editoriale nel 1986. Ci sono i testi, fra gli altri, di Andrea Canobbio, Claudio Camarca, Gabriele Romagnoli. Tutti gli autori selezionati sono undici su circa 800 manoscritti arrivati in sei- sette mesi. L’anno dopo, ora con il marchio Transeuropa, esce Belli & perversi. Under 25 secondo. Testi in particolare di Romolo Bugaro, Giuseppe Borgia, Andrea Demarchi. Nel 1990, infine, sempre per Transeuropa, in Papergang. (Under 25 III°) trovano spazio nomi come quelli di Silvia Ballestra, Guido Conti, Giuseppe Culicchia.
Pier Vittorio «legge tutto e risponde a tutti, registra ogni cosa per le prefazioni delle antologie e per le schede che dedica a ognuno dei selezionati, uno sbattimento immane – scrive Giulio Milani – che nessuno avrebbe mai replicato dopo di lui, se non lo stesso Massimo Canalini nel 1994 con l’aiuto di Silvia Ballestra e di Giulio Mozzi».
Basterebbe questo. Basterebbe questa inaudita generosità. Bisognerebbe scrivere un “Codice dell’invidia”: chi arriva va osteggiato, ignorato, mi ruba qualcosa o potrebbe farlo, stare bene in guardia. Il lavoro di Tondelli è l’opposto, allora come oggi, della raccomandazione, dei vari familismi più o meno amorali, dei cognati, delle lobby, della logica dello scambio, delle combriccole letterarie, degli amici degli amici. Ma è molto più di questo. Si dirà che gli esordienti non li ha inventati Tondelli, chiunque pubblichi il primo libro è per definizione un esordiente. Cosa c’è allora di così nuovo e irreversibile nell’impresa tondelliana, oltre a ciò che abbiamo appena raccontato e la cui unicità è intuitiva?
La novità assoluta è fare di tutto questo un progetto organico, complesso, lungo nel tempo. A Gianni Riotta che lo intervista per Radio 3 il 12 giugno 1986 e gli chiede proprio perché lo chiami progetto e non libro, Tondelli risponde: «Perché pensiamo di fare un libro ogni anno e perché non vogliamo lanciare un nuovo autore, un nuovo giovane, un fenomeno editoriale. Da molte parti si dà per morta la pratica della scrittura a favore di altri tipi di linguaggio, il linguaggio televisivo, quello dell’immagine. Invece questi ragazzi esistono: c’è una grande parte che scrive. A me interessava raccogliere questi frammenti, con un livello letterario notevole, non lasciarli lì a marcire nei cassetti». Con la preventiva consapevolezza che, per alcuni di loro, «tutto questo magari si fermerà, la loro vita e le loro strade saranno diverse». Ma – in quel momento e in assoluto – non importava e non importa, e non cambiava di una virgola il senso e l’importanza dell’operazione.
Un progetto, dunque. Un Progetto con la “P” maiuscola. Con una conseguenza ancora più importante che possiamo vedere solo oggi, e di cui quasi sicuramente Tondelli non era consapevole, e meno ancora gliene sarebbe importato. Ma a noi sì, importa. Ed è che l’“esordiente” diventa non un puro dato fattuale, ogni caso un caso a sé, ma una “categoria” ben definita della progettazione culturale, editoriale e commerciale. Una categoria che prima non esisteva, che si va ad affiancare ai generi, alle collane.
Oggi qualunque editore piccolo medio grande, dando la cosa per ovvia, quando prepara il piano editoriale dice «quest’anno pubblichiamo 3 esordienti, 7 esordienti…». È questo il cambiamento più radicale di tutti. Verrebbe la tentazione di esagerare e parlare quasi di “mutazione antropologica”. Si dice facciamo 3, facciamo 7 esordienti. E a nessuno passa per la testa che prima di Pier Vittorio Tondelli, senza Pier Vittorio Tondelli, questa frase sarebbe stata semplicemente inimmaginabile.