Il Messaggero, 1 settembre 2025
Tra canzoni e strilli social, i romani in metro sfiniti: «Questa non è una discoteca»
Ore 21:40, linea B, fermata Colosseo. Le porte della metro si chiudono con un beep isterico, il vagone sobbalza, e inizia la solita discesa nell’inferno sonoro della capitale. Nessuno lo dice, ma qui sotto non esiste pace. A Londra lo chiamano “sodcasting”, l’abitudine di mettere musica e video ad alto volume. A Roma invece si chiama semplicemente “casino”.
Nel vagone direzione Laurentina, quattro ragazzini in felpa giallorossa guardano la diretta di Pisa-Roma sul telefono. Volume al massimo. «Daje Soulé, daje!» urla uno, poi l’esplosione: «Goool!». Il vagone trema come uno stadio sotterraneo. A due sedili di distanza, un signore in giacca blu tenta di leggere Camilleri. Si arrende dopo tre righe. «Ao’, ma che ve credete, che stamo allo stadio?» sbotta, ma nessuno lo ascolta.
La scena cambia a ogni fermata, ma il copione resta invariato: video a tutto volume, cuffiette dimenticate, urla di videochiamate che invadono l’aria, la musica degli artisti di strada che, pur gradevole, si mescola al resto. Alla fermata di Termini, ogni mattina, la situazione peggiora. Il convoglio si riempie, la temperatura sale, il rumore cresce. Una ragazza al telefono strilla il suo voto d’esame: «Mamma ho preso 28!». Dietro di lei, un consulente discute di fatture in viva voce. A lato, due ragazzine ballano su TikTok usando il palo come coreografia. Un anziano scuote la testa: «Questa non è una metro, è una discoteca». Una signora con le buste della spesa perde la pazienza: «Ma ste cuffiette ve pesano?». I pendolari sopportano a malapena questo rituale quotidiano. «Possibile che ogni giorno devo sentire tutto questo?» si lamenta Maria, pendolare da Anagnina. «Vorrei solo arrivare in ufficio in silenzio. Invece sto già nervosa prima ancora di iniziare». A tutto questo baccano ci sono “i ribelli”, quelle con le casse: zaino in spalla, speaker penzolante, TikTok acceso. Ballano tra i sedili, piazzano il cellulare sui braccioli, registrano coreografie. Il vagone diventa un set improvvisato. La gente li guarda di traverso, qualcuno cambia carrozza. Loro niente: hashtag, filtri, like. «Non c’è pace – confessa Marco, studente di filosofia alla Sapienza – se vuoi trovare un po’ di conforto nel viaggio dall’Università a casa, stai certo che non lo troverai qui». C’è chi in tutto questo cerca soluzioni drastiche per risolvere il problema: «Multe feroci. Vediamo se con 200 euro continuano a fare i DJ», dice un passeggero. Tra questi c’è anche Anna, insegnante dell’Eur, che sogna un altro mondo: «In Svizzera ci sono i vagoni silenziosi, luci soffuse, gente che legge. Qua sotto? Un carnevale». E poi ci sono quelli che consigliano soluzioni creative: vagoni “quiet”, cuffie bluetooth obbligatorie, app che segnalano automaticamente i decibel troppo alti. Per ora fantascienza. Anzi a guardare i passeggeri, la guerra dei volumi è appena iniziata: a chi urla più forte, a chi canta meglio, a chi ignora tutti gli altri. Il vagone è un’arena, il passeggero uno spettatore involontario, e ogni viaggio un esperimento sociale di sopravvivenza.
Le multe per questi passeggeri molesti però già esistono, ma pochi lo sanno. Lo conferma l’assessore ai trasporti Eugenio Patané: «Nel regolamento Atac (l’azienda di trasporto pubblico di Roma ndr.) è chiarissimo: chi arreca disturbo può essere multato, da 7 a 23 euro. E per cantanti e suonatori non autorizzati si arriva a 46 euro, con tanto di allontanamento dal mezzo e senza rimborso». E aggiunge: «C’è un articolo del codice della strada che impone limiti di volume anche sulle auto private. Sui mezzi pubblici vale lo stesso principio: non puoi disturbare passeggeri e conducenti. Il problema è far rispettare le norme». E allora cosa fare? «Le cuffie obbligatorie sarebbero una buona soluzione – commenta Patané – così ognuno segue i propri interessi senza invadere lo spazio altrui. Non è utopia, è una possibilità concreta».La metro romana non è solo un mezzo. È un collaudatore di nervi. Qui sotto il tempo si allunga, le parole si accavallano, la pazienza evapora. E quando finalmente le porte si aprono, non arriva il silenzio: solo un altro beep isterico, il respiro caldo del tunnel, un nuovo vagone pronto a inghiottire passeggeri. Roma non ti lascia scampo.