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 2025  settembre 01 Lunedì calendario

Anguriai che resistono

Molti storici chioschi di angurie negli anni hanno dovuto chiudere a causa dei costi troppo elevati. Ma per le vie di Torino ci sono ancora fieri superstiti che amano la propria attività, anche se resistere è sempre più difficile. Molti chioschi sono a conduzione famigliare. In corso Unità d’Italia, tra l’ospedale Regina Margherita e il Mauto, Vincenzo Brugnano lavora con i suoi cinque fratelli, portando avanti l’attività avviata dalla madre. In via Pianezza, alle Vallette, c’è invece Beppe Santoro, erede di una tradizione che comincia con il nonno.Le storie si assomigliano: amore per il lavoro, ma anche tante difficoltà. «Resistere è difficile – racconta Beppe – io non voglio chiudere e andrò avanti più che posso ma c’è molta sfiducia. Fino a qualche anno fa pagavo circa 4 mila euro per quattro mesi di licenza. Ora ne spendo 12 mila. Anche la clientela non è più quella di prima. Se chiedo 5 euro per una fetta d’anguria, la gente si spaventa, ma devo coprire i costi. Non cerco di arricchirmi, voglio solo sopravvivere». Quasi per tutti il costo di una fetta di anguria varia dal 4,50 a 5 euro. Fino al 2020 il costo medio si aggirava intorno ai 2 euro. Molti commercianti, per sostenersi, affiancano altri prodotti: bibite, panini, focacce. Ma non sempre basta. Alcuni si vede, han perso speranza e fiducia verso le istituzioni: il Comune rincara i prezzi e, a loro dire, non offre alcun sostegno.Molti per questo han già deciso che non torneranno più in strada, spiegando come non abbia più senso investire fino a 30 mila euro per soli quattro mesi di attività.Tra le poche voci ottimiste c’è proprio quella di Brugnano in corso Unità: «Abbiamo la fortuna di essere vicini a un ospedale. I lavoratori, medici e infermieri, vengono qui da anni, sanno che puntiamo sulla qualità. È vero che i costi aumentano, ma cerchiamo di rimanere competitivi offrendo un buon servizio. La qualità si paga, ma porta benefici». Secondo i dati comunali, aprire un banco di angurie comporta una lunga lista di spese: la Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) va dai 20 ai 200 euro, a seconda del tipo di vendita; si aggiunge l’autorizzazione dell’Asl (circa 20 euro), l’iscrizione annuale alla Camera di Commercio (120 euro) e i contributi Inps, da 3.600 euro l’anno, anche in assenza di guadagni. A Torino esistono posteggi stagionali da 63 a 123 giorni, ma solo per chi riesce a permetterseli. Servono attrezzature (banco, gazebo, bilance), mezzi di trasporto (un furgone può costare anche 20 mila euro) e naturalmente la merce, con l’anguria a circa 0,50 euro al chilo. L’investimento iniziale per avviare l’attività può partire da 15 mila euro, ma salire facilmente oltre i 30 mila.Negli ultimi cinque anni, il costo di gestione è aumentato del 20–25%, complice l’inflazione, l’aumento dei canoni pubblici e i contributi previdenziali sempre più pesanti. Tutto ciò che riguarda l’estate, e non solo, è sempre più costoso, e il caldo è sempre in aumento. Un contesto come questo rende proprio i chioschi che vendono angurie un piccolo punto di ritrovo per chi cerca di sopravvivere all’afa cittadina. È da prima del 2012 che gli anguriai iniziano a gettare la spugna, l’ultimo due anni fa in piazza Massaua.