la Repubblica, 1 settembre 2025
Pierfrancesco Favino sulla moglie Anna Ferzetti
Pierfrancesco Favino al circolo del tennis racconta Il maestro, il film di Andrea Di Stefano, a qualche metro lo aspettano Anna Ferzetti e le loro due figlie graziose e cinefile.Essere al Lido insieme per voi è consuetudine. Stavolta è sua moglie che affronta la grande occasione, in corsa per il Leone con La grazia di Sorrentino.«Vederla qui mi emoziona, sono un orgogliosissimo “più uno”. Abbiamo da sempre costruito il nostro rapporto, personale e professionale, sul supporto reciproco e sul non voler confondere i piani. Abbiamo un progetto di vita insieme, meraviglioso, che non ha a che fare con il mestiere. Ho sempre creduto in lei, sono felice che ve ne accorgiate anche voi».Avete sempre condiviso tutto.«È stata accanto a me nelle delusioni e nei trionfi, io sono con lei nelle stesse circostanze. In casa il rapporto è sempre stato paritario. Anche per questo abbiamo voluto far viaggiare i nostri percorsi in parallelo, quando sarebbe stato più semplice lasciare spazio all’uno o all’altro. È bello che Paolo le abbia dato quest’opportunità, sapevo che lei l’avrebbe colta con tutto il suo talento».Il suo maestro di tennis è pieno di difetti ma con un’onestà di fondo e un rispetto per il femminile.«Ho fatto tanti personaggi carismatici, il regista Andrea Di Stefano mi ha regalato finalmente uno sconfitto: qui il carisma è nei difetti, nelle fragilità. Chi mi conosce, mi riconosce più in questo ruolo che in altri. Oggi sembriamo ossessionati dalla perfezione: che ci sia spazio per gli imperfetti è un belmessaggio».Il film racconta un talento del tennis e il suo maestro in viaggio lungo la costa italiana, nel 1989.«Oggi quel tipo di relazione non sarebbe possibile. Per i cellulari, il controllo. Allora c’era una fiducia diversa, persino nel mettere un figlio nelle mani di uno sconosciuto che, pur titolato, restava uno sconosciuto. Io sono cresciuto così: porte aperte, fiducia, libertà».Ha avuto un mentore?«Tante persone hanno cambiato la mia vita, anche in modo casuale, odeludendomi. Come succede nel film, in una persona troviamo non quello che pensavamo, ma altro».Come ha vissuto il corteo per la Palestina alla Mostra?«La libertà di protesta è sacrosanta, la Biennale si è presa la responsabilità di sottolineare certe ingiustizie. Ma il segnale va tradotto in qualcosa di concreto. L’opinione generale è chiara, spero che l’Europa faccia il possibile per interrompere un massacro insensato».Venezia: l’esperienza più stressante, o la più commovente?«Più stressante la prima volta, con il corto Baci proibiti di Francesco Miccichè: alle dieci di mattina in Sala Grande eravamo in trenta. Dormivamo in dieci in un appartamento da due. Oggi sono felice di esserci con un film che incarna il senso del cinema: la condivisione. Attraverso le relazioni si possono affrontare dubbi, questioni, emozioni. E due persone insieme sono più forti di una sola».