La Stampa, 1 settembre 2025
Brasile, l’anatomia del tentato golpe di Bolsonaro
Pochi giorni prima del Natale 2022 tutto era pronto a Brasilia. C’era un piano dettagliato per uccidere il presidente neo eletto Lula, il suo vice Alckmin e il magistrato de Moraes. Da mesi alcuni nuclei composti da militari delle forze speciali, da agenti dell’intelligence e dallo staff di Jair Bolsonaro, lavoravano per destabilizzare dall’interno le istituzioni di Brasilia. E da anni il Brasile viveva una campagna d’odio e di disinformazione massiccia, organizzata e coordinata da esperti di contro informazione e manipolazione dell’opinione pubblica. Dall’inizio di novembre davanti alle caserme, quando il secondo turno delle elezioni presidenziali aveva confermato la vittoria del candidato della sinistra, si era creata una mobilitazione dei militanti della destra estrema senza precedenti, pronti ad invocare l’intervento delle forze armate. Il meccanismo del golpe era pronto a colpire. Con un obiettivo: mantenere Jair Bolsonaro al potere impedendo il ritorno di un governo progressista.
L’indagine della Polizia federale – durata due anni, sfociata nel processo contro Bolsonaro e alcuni militari, che entra nella fase finale domani – ha ricostruito passo dopo passo il tentativo di colpo di Stato sfociato nell’assalto ai palazzi del potere l’8 gennaio 2023.
Gli atti delle indagini – che La Stampa ha consultato – descrivono gli ingredienti essenziali di un golpe all’epoca della nuova destra identitaria: disinformazione, manipolazione dell’opinione pubblica, attacco frontale al sistema giudiziario.
L’origine: la riabilitazione di Lula nel 2021
Il punto d’inizio è il 21 marzo 2021, quando cadono le accuse che nel 2017 avevano colpito Inácio Lula da Silva. Jair Bolsonaro era all’inizio del suo terzo anno di mandato presidenziale e si stava preparando per la rielezione. Intuisce che il ritorno del leader del PT (Partito dei lavoratori) avrebbe avuto un notevole peso, tutti i sondaggi davano Lula per sicuro vincitore.
L’attacco al sistema democratico brasiliano – che per i magistrati si configura come tentato golpe – è partito in quel momento, puntando a delegittimare il sistema elettorale brasiliano e gli organismi giurisdizionali deputati al controllo della legalità. Per costruire la strategia – soprattutto sulle reti social – contro il sistema giudiziario, il governo Bolsonaro si è avvalso fin dall’inizio dei servizi segreti del Paese, creando una struttura parallela all’interno dell’agenzia Abin: «Il nucleo operava come centrale di intelligence dell’organizzazione criminale – scrivono i magistrati nell’atto di accusa – che, attraverso mezzi e strumenti dell’Abin, produceva disinformazione contro gli oppositori (di Bolsonaro) (…). Il materiale costruito dalla cellula di controspionaggio veniva passato ai vettori di divulgazione nelle reti sociali (profili falsi e profili cooptati)». Una di sorta milizia digitale che aveva accesso agli strumenti di intelligence più sofisticati.
Il tentativo di sabotare il voto
Nonostante l’azione massiccia di manipolazione dell’opinione pubblica il consenso verso Lula nel Paese continuava a crescere. A metà ottobre del 2022, nel primo turno delle presidenziali, il candidato del PT sfiora la maggioranza, con il 48,43% dei voti. In vista del ballottaggio viene avviato un piano segreto – scrivono i magistrati – pensato per contenere il consenso raccolto dal candidato progressista. Un’equipe del ministero della giustizia avvia una mappatura dei luoghi dove Lula aveva ottenuto maggior consenso; l’informazione viene passata alla Polizia stradale federale con l’ordine di organizzare posti di blocco nelle prossimità dei luoghi individuati, cercando di impedire ai votanti di raggiungere le sedi elettorali. Nulla da fare, il 30 ottobre 2022 Lula è eletto presidente con il 50,9% dei voti.
Le manovre militari e il piano “Pugnale verde oro”
Subito dopo il secondo turno migliaia di militanti iniziano a riunirsi davanti alle caserme dell’esercito, chiedendo un intervento delle forze armate, sostenendo la tesi della manipolazione del voto elettronico. È una nuova fase del piano antidemocratico, secondo l’accusa. All’inizio di novembre «ufficiali dell’esercito, aiutanti dei Comandanti regionali e dei settori strategici, che avevano in comune un legame con le forze speciali si riuniscono per cercare di far aderire al golpe gli alti comandi», scrivono i magistrati.
Nello stesso tempo altri militari vicini a Bolsonaro alimentano in maniera sistematica la diffusione di notizie false sul sistema elettorale. Inizia così una doppia strategia: da una parte la propaganda, motore per la mobilitazione dei militanti davanti alle caserme; dall’altra l’intensificarsi di contatti, riunioni e accordi per organizzare il colpo di Stato. L’allora ministro della Difesa Paulo Sérgio Nogueira – oggi tra gli imputati per il tentato Golpe – prova a riunire i comandanti militari «per proporre un atto concreto di colpo di stato, ottenendo l’adesione della Marina militare e il rifiuto delle altre due armi». Si arriva così al cuore del tentativo di golpe, il piano che prevedeva l’uccisione di Lula, del suo vice presidente e del magistrato del Supremo tribunale federale Alexandre de Moraes, ovvero lo stesso giudice che oggi la destra europea vorrebbe sanzionare, trovato in un documento elaborato all’interno del palazzo presidenziale. Il nome in codice era “pugnale verde oro” (i colori della bandiera brasiliana). Erano pronte le armi per l’agguato contro il giudice de Moraes: pistole e fucili da guerra, lancia granate, munizioni non tracciabili. Per il presidente Lula era previsto invece l’avvelenamento nel corso di eventuali apparizioni pubbliche. Tutto si è fermato all’ultimo momento, alle 21 del 15 dicembre 2022, quando pochi minuti dell’agguato a de Moraes arriva l’ordine di abortire l’azione. Gli omicidi sarebbero serviti a far scattare lo stato di eccezione.
L’assalto finale: l’8 gennaio 2023
Rimaneva un ultimo tentativo, la rivolta nelle strade di Brasilia l’8 gennaio, pochi giorni dopo l’inizio del mandato di Lula. Una sorta di riedizione dell’assalto a Capitol Hill, avvenuta due anni prima a Washington, nel giorno del passaggio delle consegne da Trump a Biden. Una sommossa tutt’altro che spontanea: «Non ci sono dubbi sul supporto fornito dal gruppo vicino a Jair Bolsonaro», scrivono i magistrati.