Corriere della Sera, 1 settembre 2025
In gita all’outlet di lusso fuori Milano
«Certo, dorogoy. Compra quello che vuoi», dice un padre in russo – poi si presenta come turco – distribuendo la paghetta: 200 euro al maggiore, 100 al piccolo. Dietro di loro, trolley fluorescenti, nuovi e vuoti. Sotto la calura agostana si attende il bus per il Serravalle Design Outlet. Per chi parte è «l’outlet di Milano», anche se Serravalle Scrivia è in Piemonte. La brochure dei proprietari McArthurGlen recita comunque «Milano»: marketing più che geografia. Biglietto 25 euro, partenza da Cairoli o Centrale, orari 9-13. Questa è la corsa delle 11.30 del 23 agosto 2025. Un belga trafelato implora un posto: respinto. «Overbooking, provare domani», urla Sebastian, 28 anni, accento argentino. A bordo, ognuno conquista il proprio sedile. Alle 12.15 il pullman varca il casello dell’A7, diretto alla Las Vegas del lusso low cost.
«Abbi cura di spendere», recita la cover del telefono di Indira, origini franco-pakistane. Il vicino di posto chiede la traduzione. «Me l’ha regalata un’amica quando sono arrivata. Diceva: a Milano se non spendi, non esisti. Il giorno dopo mi ha portata a un aperitivo in Porta Venezia: 22 euro per un gin tonic, un’oliva secca e due grissini. A Lahore, con quei soldi, cenavamo in tre». Si scambiano impressioni sulla città. «All’inizio ogni prezzo mi sembrava un furto. Poi mi sono convertita. A Serravalle. Ci vado una volta al mese: è la mia gita spirituale». Indira sistema il foulard, ha imparato a vestirsi come le milanesi doc. «Milano ti educa: a camminare in fretta, a non sudare mai in pubblico, a spendere come se i soldi fossero punti fedeltà per restare in città. È una recita, ma io mi diverto».
Alcuni fuggono da Milano e dalle sue regole: scontrini, giustificativi, ricevute. «Tuo padre non lo deve sapere», sussurra Anna alla figlia Vittoria. Poco più in là, due ragazzi che non si conoscono scrollano Instagram allo stesso ritmo. Figli di famiglie abituate a voli per Bora Bora o Seychelles, con tappa fissa a Serravalle. Emily e Lara viaggiano insieme. «Il costruttore ti ha lasciato mano libera?» chiede la prima. «Figurati, ha i suoi affari». Prenotano un cinque stelle con la disinvoltura di chi lo fa spesso. Emily è cardiologa in Uzbekistan, un brillante da tre carati al dito. Lara vive a Praga, dove il marito dirige una società edilizia. Hanno figli, tate, agende piene. Da cinque anni si ritrovano a Milano per incontrare «due amici speciali» di Londra, sposati. Insieme salgono su quell’autobus «un po’ scomodo»: guardaroba nuovo, poi via verso il lago. Una storia calibrata al millimetro: tre giorni, due notti, alberghi diversi, sempre vista mare. «È solo un’altra forma di manutenzione», dice Lara. Tra i sedili, quattro ragazzi eritrei di Baggio parlano fitto. Affari: scarpe da ginnastica, numeri richiesti. «Tutti i 43 neri. Se li trovi, li prendi. Anche se costano di più», dice Basim, lo sguardo sul telefono con prezzi e margini. Sono reseller: comprano per rivendere, non per indossare. Acquistano modelli in saldo all’outlet – Nike, Adidas, New Balance – e rimettono nel mercato online, o in zona Corvetto, «a chi non ha voglia di sbattersi». Lavorano a coppie: uno prova, l’altro paga.
Si scende. Oltre 230 negozi, logistica perfetta: arrivi, compri, riparti. Il flusso si riversa nella piazza centrale, pavimentata in pietra chiara, archi pastello, facciate che imitano borghi liguri. Odore sintetico di caffè tostato. Il primo assalto è a Gucci: coda ordinata, telefoni pronti per riprendere l’ingresso. Le voci si mischiano: russo, arabo, portoghese, milanese. Tre donne velate, tacchi altissimi, si passano il telefono per calcolare i cambi valuta. Alla cassa di Moncler aprono il portafogli con banconote da 200 euro. Una donna araba conta i figli. Parlano come ambasciatori, vestono come adulti. Il più piccolo si aggrappa al peluche firmato preso a metà prezzo. Chi non compra, posa. Le vetrine diventano specchi, i loghi cornici di selfie: «#Milano». Dietro i marchi dorati, code da Starbucks. Una famiglia araba divora un frappuccino al tiramisù. I sacchetti griffati sul tavolo accanto al vassoio. Dentro Burberry una giapponese scambia il prezzo scontato per quello pieno e lascia la borsa sul bancone. Il commesso la rincorre: «Signora, qui c’è scritto meno cento». Torna indietro, applauditissima dal gruppo di amiche. Lo sciame si ricompone: ritorno in città. Sacchetti stretti tra le ginocchia, loghi nascosti, il timore di furti nell’aria. In fondo al bus una trentenne, occhiali appuntiti. Alla domanda sul perché sia a Serravalle: «A Milano è tutto spento. Qui trovi chi ha voglia di parlare». Professione escort, tra Milano e Como segue i clienti. Si fa chiamare Marina. Ha due sacchetti, uno vuoto e uno pieno: dentro biancheria. «Ho preso due cose per me. Se va bene, domani torno con qualcuno. Compra lui».