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 2025  settembre 01 Lunedì calendario

Siti sessisti, pubblicità e ricatti. Ora s’indaga sul business dei soldi

Non c’è solo il voyeurismo, il sessismo, il machismo di 700mila e più uomini affamati di immagini di donne, più o meno ignare, pubbliche e private, nel pozzo di album trafugati e di commenti osceni del sito “Phica”, chiuso dai gestori lo scorso giovedì. Dietro c’è, soprattutto, un grande business. Che potrebbe per di più essere solo il primo acino di una rete a grappolo di siti e forum assai redditizi.
Di questo è convinta la polizia postale che ha inviato una prima informativa alla procura di Roma, pronta, nei prossimi giorni, ad aprire un fascicolo e ad ascoltare il gestore del sito, un italiano con server e società registrate all’estero. La postale è riuscita a rintracciarlo e a ricostruire la sua intera rete commerciale. Nelle sue tasche finivano tutti i flussi di pagamento provenienti dai domini di Phica.net e Phica.eu. Un fiume di soldi arrivato non solo grazie ai click – 600mila visualizzazioni al giorno, 20 milioni di visite al mese da vent’anni in qua, secondo le stime di Hypesat –, ma anche da un sistema raffinato di raccolta pubblicitaria, che poggiava sulla vendita di banner di siti porno estremamente remunerativi.
Non solo: quel che ipotizzano gli inquirenti è che Phica.net e Phica.eu fossero solo due siti di un network più ampio che utilizza anche l’intelligenza artificiale per sviluppare domini gemelli che reindirizzavano traffico e vendite. Simile il modus operandi: usare dei forum, ben indicizzati per ricavare guadagni anche da Google, utili a deresponsabilizzare a livello penale gli admin.
Inoltre, per rimuovere gli account e cancellare i thread misogini, di cui il sito era totalmente padrone, gli utenti erano disposti a pagare cifre a due o tre zeri. E alle donne, finite a loro insaputa in vetrina sul forum, venivano proposti addirittura dei pacchetti da 250 a mille euro al mese, più extra, per garantire loro una sorta di sorveglianza digitale e la cancellazione delle foto e dei commenti, come Repubblica ha potuto raccontare.
Testimonianze che potrebbero spingere i magistrati capitolini a indagare su diverse fattispecie di reato: dal revenge porn alla diffamazione aggravata, dalla violazione della privacy alla diffusione di immagini a contenuto erotico fino all’estorsione. Dal punto di vista legale, questa sarebbe anche la grande differenza tra il gruppo Facebook “Mia moglie” e siti come “Phica”: entrambi indecenti contenitori di volgarità e violenze digitali, nel secondo caso aggravati da ingiusti profitti.
Nei prossimi giorni partiranno le perquisizioni e i sequestri. Il compito più difficile è rintracciare i server su cui sono poggiate tutte le foto. Ma oltre ai responsabili del sito, la polizia postale sta cercando di rintracciare le vittime dei ricatti a sfondo sessuale e di identificare gli autori dei post fotografici e dei commenti sessisti che hanno spinto decine di donne a presentare esposti in tutta Italia.
Dovrebbe invece concludersi entro fine anno l’inchiesta che sarà attivata dalla Commissione parlamentare sul femminicidio che il 9 settembre si riunirà per decidere le date delle audizioni, dalla polizia postale ai gestori fino alle vittime.
L’intento, spiega la presidente, Martina Semenzato, «è valutare come attualmente avviene il monitoraggio dei siti e capire se ci sono provvedimenti già in essere che possono aiutare». «Siamo – prosegue la deputata – davanti all’uso improprio degli strumenti tecnologici e dobbiamo aprire una riflessione forte sulle maglie troppo larghe della policy di controllo sui social, dove sono evidenti gli ammiccamenti a pornografia e prostituzione». Contemporaneamente «la commissione analizzerà le tante proposte di legge», nove in tutto, «presentate tra maggioranza e opposizione per trovare una sintesi e varare una norma che, assieme ai provvedimenti già in essere che possono essere messi in campo, garantisca maggiore controllo».