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 2025  agosto 31 Domenica calendario

J-Ax: “Resto ‘tamarro’ e detesto chi ha troppe certezze”. L’artista in concerto alla Festa del Fatto

Mito.
Non ci penso proprio.
Totem.
Per carità.
Punto di riferimento.
(Silenzio, pericolo insulto)
Quindi?
Detesto quegli artisti, in particolare i giovani, che parlano come se avessero un’urgenza, una verità e una conoscenza assoluta della vita.
Invece?
In realtà per anni quel tipo di approccio l’ho avuto anche io e oggi, quando lo riconosco, mi vergogno un po’.
Cuore aveva una rubrica: “Vergogniamoci per loro”.
Cuore era grandissimo; quando si cresce, cambia veramente la prospettiva e si capiscono delle stronzate…
Momento-Marzullo: è un giovane adulto o un adulto giovane?
Sono solo uno della Generazione X, i primi ad aver avuto un approccio adolescenziale rispetto ad alcuni aspetti della vita, ad aver mantenuto intatti i miti dell’infanzia, ad aver elevate a esperienza formativa delle espressioni del Pop.
Dei riflessi da ragazzo, cosa è rimasto intatto?
L’esperienza e l’età adulta ti spiegano che certe situazioni non esistono o non si possono realizzare, mentre la mia generazione mantiene la convinzione che tutto è possibile.
Nihil difficile volenti.
È una balla capitalistica per restare iper-produttivi e iper-consumatori, ma è meglio combattere per tentare di raggiungere l’obiettivo invece di deprimersi; una volta Neffa mi disse: ‘Se sei solo su una zattera e non tira vento, soffia nella vela. Magari non ti muovi, ma fai qualcosa’.
(Pensieri, parole e saggezza non sospetta di J-Ax. Già con gli Articolo 31 ha tracciato una strada, ha dato un riflettore agli angoli – considerati – bui della musica. Ha conquistato il mainstream senza farsi affogare dal mainstream. Ha costruito rime e analogie, immagini e riferimenti. Ha innalzato il tamarro a stile di vita, quando lo stile era tutto da “bere”. A 50 e rotti anni è solo più saggio, per tutto il resto non cancella nulla, “neanche i tatuaggi”. E il 12 settembre suona a Roma, alla Festa del Fatto organizzata al Circo Massimo).
L’altra sera è andato in onda il doc su Enzo Jannacci. Lei presente.
Prendevo l’autobus sotto casa e solo per andare al suo studio.
Citofonava?
(Stupito) No! Poi Paolo (Jannacci, il figlio di Enzo) mi ha raccontato che rubavano in continuazione la targhetta sulla porta.
Pure lei?
Mai. Jannacci e Giorgio Gaber li ho assorbiti dentro casa, erano dei miti dei miei genitori.
Gusti raffinati.
Non sempre, sentivano pure cose trash come i Ricchi e Poveri.
I Ricchi e Poveri trash?
Con il senno di poi non lo sono mai stati, altrimenti sarebbero trash gli Abba.
I ragazzi oggi hanno meno memoria?
No, è come se un tempo mi avessero chiesto chi è Luciano Tajoli; abbiamo questa illusione che i grandi resteranno per sempre, ma tra qualche generazione anche i Beatles verranno ricordati solo dagli appassionati di storia musicale.

Tranchant.
Rido quando i cantanti dichiarano: ‘Voglio lasciare una traccia ed essere ricordato per sempre’; se ti va bene copri qualche generazione, poi verrai dimenticato; (cambia tono) all’inizio mi accusavano di non conoscere Claudio Villa, quando per me Claudio Villa era solo uno contrario ai fast food.
Eppure ha Natalino Otto in un brano.
Solo per applicare la formula degli americani: campionano i dischi dei loro genitori (tradotto: riprendono brani storici). Quindi non avevamo alcuna intenzione di recuperare le radici.
Niente romanticismo.
Non voglio cadere nella formula dei due ignoranti di periferia che alla fine vengono educati.
Severo ma giusto.
Odio quando vedo i cantanti costruire la loro mitologia.
Insomma, non è un mito.
Spero proprio di no.
Perché?
Ai miti viene richiesto un qualcosa che non tocca più neanche ai politici: la coerenza.
Invece?
È normale cambiare le idee a fronte dell’esperienza.
E chi non cambia?
È stato viziato tutta la vita.
Esempio.
Penso a Madonna. Mi sembra un’artista che vive in una bolla da quando ha vent’anni; (pausa) il percorso di vita è più importante del percorso legato alla carriera.
Ci sono brani che non canta più perché ha cambiato idea?
No, li canto e contestualizzo. Alcuni li ho scritti da ventenne che non conosceva certe cose; (pausa) non mi sembra che Eric Clapton sia in imbarazzo a cantare Cocaine o i Rolling Stones Satisfaction.
Ha dichiarato a Esquire: “È stato faticosissimo essere gli Articolo 31”.
Perché siamo stati i primi, abbiamo dovuto sperimentare prima degli altri.
Cosa?
Anche il reflusso del successo.
Gli alti e bassi?
Di recente un artista, in questo momento molto in alto, mi ha detto: ‘Nei momenti bassi ho pensato a te, alla tua carriera e non mi sono demoralizzato’. Ecco, prima di noi non c’era stato nessuno nel mondo del rap soggetto a up e down.
Sono tosti.
Sì, ma allora c’era molta meno concorrenza.
Oggi?
Il rap lo vogliono fare tutti, è come un tempo il calciatore. E per i soldi.
Con i soldi in tasca, quanti amici sono arrivati?
Con i soldi non cambi tu, ma la gente attorno. Però è normale. Pure per i rapporti con l’altro sesso.
Le gioie dell’amore.
Da ragazzino sicuramente, ma io e DJ Jad avevamo qualche successo pure prima.
Sex symbol.
A noi quel ruolo è toccato dal ’94 al ’97, peccato che in quei tre anni ho scelto la droga.
Altra dichiarazione: mi sentivo vecchio a 30 anni.
Un classico per chi fa il mio mestiere; poi si passa dal sapere esattamente cosa vuole un ventenne al buio; (pausa) a vent’anni capivo il mercato.
Jake La Furia intende smettere a 50 anni.
Ha valori rari per questo ambiente; vediamo cosa farà, ma qui è come lo sport: finché fai gol resti in campo; io ho dei contratti da onorare e poi mi diverto sempre.
Sul palco è cambiato?
Forse salto un po’ meno; (ride) però me la cavo. Io neanche mi alleno, neanche scaldo la voce. Salgo sul palco e via.
È salito in qualunque condizione?
Da giovane, sì; oggi, al massimo, il problema è il sonno se il concerto inizia tardi.
Senza timori.
Ho iniziato a suonare rap negli anni 80 e nelle discoteche milanesi. Niente di più difficile. Il pubblico voleva ascoltare la techno e invece arrivavo io. Da allora non ho avuto più paura…
Le tiravano oggetti?
Pure i pezzi di ghiaccio.

Non era da “Milano da bere”.
Però volevo esserci.
Lei?
Certo, altrimenti non si è un vero proletario di periferia; quando bigiavo andavo a vedere la borghesia milanese a Santa Margherita Ligure. Desideravo essere nato ricco.
Invidiava.
Da adolescente. Quando non capivo un cazzo.
Si vestiva da paninaro?
Low-cost: magari risparmiavo le mance di un anno solo per acquistare una cinta.

Ha compensato con la fama.
Essere famoso magari ti aiuta quando hai un’emergenza e vai in ospedale, ma allo stesso tempo, ed è accaduto, hai un tuo caro in terapia intensiva e mentre sei lì e il mondo ti sta crollando, arriva qualcuno e chiede un selfie.
Come ha reagito?
Da anni ho deciso che è più veloce accettare che spiegare il “no”.
Gianni Morandi sostiene lo stesso.
Sono suo amico, e da lui ho imparato molto.
Cosa?
La gentilezza, l’educazione, la professionalità. Non trattare mai nessuno come se fosse al di sotto, anche se te lo puoi permettere.

Dalla e Guccini cosa le hanno insegnato?
L’umiltà. Quando li ascolto capisco che sono un coglione perché non sarò mai bravo come loro. E il 90 per cento di chi scrive dovrebbe pensare la stessa cosa.

Soffre di sindrome dell’impostore?
Forse sì, ed è per questo che cerco di smontare quando mi dicono ‘sei un mito’. Però m’incazzo quando ricevo critiche: impiego due o tre anni per smaltire.
Ultimamente molti si stanno pentendo dei tatuaggi.
Se li togliessi andrei in crisi; oggi sono un qualcosa che si disegna sulla pelle; per la mia generazione rappresentano un qualcosa che avevi già sotto la pelle.
Resta un tamarro?
Nel cuore; a me stanno sul cazzo quelli che cavalcano le tendenze, i catalizzatori del capitalismo, mentre la cultura zarra ha dei punti fermi.
Esempio.
L’adesivo dei Doors regge da 50 anni; mentre per me la gente cool non merita diritti umani.

A proposito di diritti umani, è intervenuto sulla tragedia di Gaza.
Spesso temo il ‘complesso di Bono Vox’, quando si chiede agli artisti cosa ne pensano di qualunque argomento. Questa volta ho avvertito l’esigenza di parlare (sul suo profilo social c’è un lunghissimo post); non voglio si pensi che sia stato zitto, ma non voglio utilizzare questo argomento per far credere a qualcuno che mi stia promuovendo.
E…
Con gli anni ho capito che non frega un cazzo quasi a nessuno delle nostre idee politiche.
Una canzone con Ohi Maria, dedicata alla marijuana e alla sua legalizzazione, le appartiene sempre?
Oggi forse di più: una volta poteva essere una scusa personale, visto che mi piaceva fumare, ma da anni non fumo e credo che la legalizzazione sia importante. Comunque l’alcol è ancora più dannoso.
Neanche beve?
No. E l’alcol è stato il problema principale, quello che portava alla cocaina per riprendersi. Non ero me stesso; (silenzio) secondo me una delle grandi bugie della società è in vino veritas: in realtà sei quello che ha bevuto, ma sei pure quella parte di te che lo impedisce.
Lei “in vino”?
Ero una merda.
A chi è legato del suo mondo?
Riccardo Zanotti e Max Pezzali sono due diamanti sia come autori sia come persone; quando i Pinguini (Tattici Nucleari) hanno realizzato un sold out a San Siro in 15 minuti, Zanotti era in studio con me: nonostante la notizia è rimasto lì per rendere migliore un mio pezzo.
Lei chi è?
Un figlio-padre-marito. Che di lavoro fa l’artista-musicista-entertainment.