repubblica.it, 29 agosto 2025
“Overtourism e fondi a rischio, chiudiamo il museo Van Gogh”
Chiuso per lavori o chiuso per sempre? Il Van Gogh Museum di Amsterdam, una delle più famose e visitate collezioni al mondo, è arrivato a ipotizzare di sospendere le visite a tempo indeterminato. Il problema nasce dalla necessità di mettere in sicurezza le opere e gli stessi visitatori, 1 milione e 800 persone l’anno.
L’ha spiegato in modo diretto e pragmatico la direttrice, Emilie Gordenker: «Così come noi tutti cambiamo il frigorifero ogni 15 anni, anche un museo ha bisogno di un rinnovamento. Il tempo e l’afflusso degli ammiratori dell’artista hanno reso antiquati i sistemi di conservazione e climatizzazione delle sale in cui si trovano i quadri, gli ascensori e i sistemi di sicurezza antincendio». Tutta colpa dell’eccesso di turisti, sono loro che hanno reso obsoleto il frigorifero-museo? Ora la Fondazione Van Gogh chiede 2,9 milioni in più, che andrebbero ad aggiungersi ai 10 milioni che già riceve annualmente dallo Stato.
Nel 1962, infatti, l’istituzione creata dagli eredi dell’artista ha conferito allo Stato olandese la cura dell’intero patrimonio delle opere rimaste in loro possesso dopo la morte di Vincent, oggi oltre 200 dipinti e 500 disegni. La risposta del ministro competente, ora dimissionario, è che il museo già beneficia di un grosso contributo annuale, proporzionalmente il più alto per metro quadro conferito a un museo olandese. L’inghippo sta nel fatto che il museo stesso sostiene il suo bilancio per l’85 per cento con i proventi dei biglietti, della caffetteria e del negozio, ma, se dovesse chiudere anche parzialmente per lavori, perderebbe parte importante del suo introito: a questo servono quei soldi in più. Al no del ministro, la replica è stata: allora chiudiamo. Come finirà? Dal 1973, anno di apertura dell’istituzione, questa è la prima grande crisi. Nei prossimi mesi troveremo affisso sul portone il fatidico cartello? Di sicuro c’è un logoramento causato dall’eccesso di visitatori: l’overtourism, espressione diventata proverbiale. Questo assalto, per parlare quasi di casa nostra, richiederà come raccontato da Repubblica, anche un restauro della Cappella Sistina, iper ammirata durante il Giubileo, nei prossimi mesi. Diventa sempre più incalzante l’idea d’impedire l’accesso indiscriminato, pagando un semplice biglietto, a luoghi e a opere del passato diventati oggetto di venerazione. Ci si è messo anche il consumo visivo attraverso la mania del selfie: nel caso di Van Gogh in particolare davanti al quadro I mangiatori di patate, simbolo di passata miseria contadina.
Chissà cosa direbbe oggi di tutto questo Andy Warhol, e quali opere ricaverebbe a sua volta il maestro della riproducibilità, di cui i selfisti sono gli inconsapevoli seguaci? L’arte è democratica, hanno stabilito in modo immancabile gli ultimi due secoli, ma tali sono anche le singole opere che genera? Alla stregua delle specie animali e vegetali, anche i quadri, le sculture e gli oggetti si possono estinguere e scomparire, ora che il pubblico desidera consumare visivamente l’aura che da loro promana. La democrazia è partecipazione, ma quanto in un regime economico come quello attuale, fondato sul consumo allargato, possono resistere bellezze artistiche così fragili come sono i quadri di Vincent? Le Grotte di Lascaux scoperte nel 1940 grazie a un cane e quattro ragazzi, aperte al pubblico dopo la fine della Seconda guerra mondiale, a causa dell’anidride carbonica prodotta da oltre 1.000 visitatori al giorno, sono state chiuse ai turisti, ed è stata realizzata in loro vece una replica chiamata Lascaux II con la grande Sala dei tori e delle pitture parietali, proprio lì accanto all’originale.
Così dall’inizio degli anni Duemila è diventata questa la meta principale dei visitatori, mentre a Parigi è disponibile una mostra virtuale in 3D delle grotte e delle loro meravigliose pitture. Sarà questo il destino futuro di alcune delle opere di Vincent Van Gogh, che per disperazione e strazio si tagliò un orecchio per la sua arte? Nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, come l’ha definita Walter Benjamin, la sacralizzazione dell’unico è quasi un contrappasso alla democratizzazione delle immagini, comprese quelle realizzate con il proprio smartphone. Per questo tutti si accalcano nei musei e sotto gli affreschi di Michelangelo. Nell’epoca della post-verità e delle fake news, poi, assistiamo alla ricerca dell’autentico, del “vero”, dell’irripetibile. Naturalmente per la venerazione dell’icona non basta più l’acquisto dell’immagine riprodotta.
Come accade nel culto delle personalità dello spettacolo, della musica e dello sport, non è più sufficiente essere dei fedeli e degli spettatori, ma si vuole essere degli attori almeno in immagine: il selfie per moltissimi, ad Amsterdam come altrove, diventa l’obiettivo principale della visita. Forse il cartello “Chiuso” può essere un primo campanello d’allarme, al di là del fatto se toccherà o no allo Stato olandese pagare la messa in sicurezza di quadri e disegni, dell’edificio e degli stessi consumatori. Resta infatti il problema di trasmettere i capolavori alle generazioni che verranno, poiché quei 200 quadri non sono solo della Fondazione Van Gogh o dello Stato che li ha in custodia, ma dell’umanità intera, dei “non nati”, come li chiamava Alberto Giacometti. Secondo l’artista della Val Bregaglia tra gli eredi non ci sarebbero solo i viventi e i nascituri, ma anche il popolo dei morti, dei già-vissuti. Un’idea la sua di democrazia totale? Parlando di questo con Jean Genet, confessava di voler seppellire nel pavimento di terra del suo studio parigino le sculture che andava realizzando. Sarà questo il destino giusto anche delle opere di Vincent per sopravvivere?