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 2025  agosto 31 Domenica calendario

La beffa del neonazi che si era finto «donna». Perse le tracce da giorni, potrebbe essere a Mosca

E alla fine, Marla Svenja Liebich, il neonazista più celebre della Germania che si è dichiarato donna, ha fatto perdere le proprie tracce. La sera di venerdì in cui doveva presentarsi al carcere di Halle – la direttrice aveva annunciato che in ottemperanza alla legge, l’avrebbe mandato nell’ala femminile, per quanto fosse sempre più chiaro che la sua scelta di genere fosse una presa in giro delle istituzioni tedesche – ha fatto quel che i neonazisti invece fanno bene da sempre: si è dato alla clandestinità.
Per mantenere fede al personaggio, la notte stessa ha postato su X un fotomontaggio nello stile di un poster cinematografico. Si vede Liebich nella sua mise «iconica» (il cappello a tese larghe, gli occhialini da John Lennon, rossetto rosso e orecchini d’oro, maglietta tigrata, baffo ottocentesco o da pornodivo), e sullo sfondo le cupole del Cremlino dalle quali fa capolino James Bond con la pistola.
È lì che Marla Svenja pretende di essere, a Mosca. E, vista la teatralità che ha sempre esibito nella trentennale carriera di neonazista, nel post si autocelebra come un artista della fuga. «Il trucco di magia: tutti gli occhi vengono attirati sulla scena, mentre l’oggetto scompare nell’ombra. Nessuno sapeva della mia decisione – né un avvocato, né la famiglia. E cosa segue? Un mandato di arresto internazionale – solo per delle parole, per un’opinione». Poi prende di mira il suo Paese. «Il mondo intero vede come il regime in Germania si cala le braghe. Il re è nudo». La polizia ipotizza che si sia dato alla fuga nelle vecchie vesti di uomo.
Finisce così, per ora, il dibattito che è divampato in Germania alla fine di quest’estate. Liebich, che ha attaccato ferocemente i trans per anni definendoli «parassiti della società» o parlando di «transfascismo», una volta condannato in via definitiva per i discorsi d’odio e razzisti a 18 mesi di carcere, si è dichiarato donna in base alla legge di autodeterminazione dell’identità che è stata approvata in Germania dal precedente governo semaforo. Il tutto, apparentemente per scontare la pena in una prigione femminile, ma con l’ambizione evidente di innescare un cortocircuito mediatico e istituzionale.
In trent’anni, quando Liebich vendeva magliette con slogan vietati, mazze da baseball anti migranti e musicassette nazirock, partecipando a risse e atteggiandosi ad artista e libero pensatore, non aveva mai ricevuto tanta attenzione.
Ma anche la Germania si interroga su cosa fare di quella legge che il governo precedente vedeva come un tentativo facile per allargare i diritti, e che ora sembra non avere padri. È nata con poco dibattito, sulla spinta di un piccolo gruppo woke (prevalente tra i Verdi), fu ritenuta una questione che interessava a pochi; per giunta, approvata prima che la «sentenza del buon senso» dell’Alta Corte britannica – che chiede la protezione dei trans, ma chiarisce che i sessi sono due ed è donna chi nasce biologicamente donna – desse finalmente argomenti legali e culturali forti a chi sostiene posizioni più tradizionali. Ma evidentemente, se un neonazi può farsene beffe, in Germania qualcosa nel modo in cui è scritta quella legge non ha funzionato.