Corriere della Sera, 30 agosto 2025
Mou esonerato dal Fenerbahce
La notizia dell’esonero di José Mourinho da parte del Fenerbahce arriva in questi giorni di apprensione per la fragilità di Massimo Moratti, e nel frullatore emotivo che quotidianamente mischia le preoccupazioni vere ai crucci di contorno, genera malinconiche considerazioni sul tempo che passa, e per quanto inevitabile questo pensiero resta molesto. Sono ormai molti anni che Mourinho conclude le sue esperienze con un esonero: prima del Fenerbahce fu la Roma, e prima il Tottenham, e prima il Manchester United, e prima ancora il secondo Chelsea.
Considerato che quella con il Real Madrid fu una rescissione consensuale, perché Mou s’era accordato per tornare da Abramovich e dunque cacciarlo non aveva senso, l’ultima squadra a venire «esonerata» da lui fu proprio l’Inter quella famosa notte del 2010 al Bernabeu, quando José festeggiò la Champions in campo con Moratti, pianse nel garage abbracciato a Materazzi e salì infine sull’auto di Florentino Perez, flash simbolico per eccellenza del punto più alto della sua carriera. Quindici anni dopo, ferito da un’altra eliminazione nel preliminare di Champions – l’ultima presenza fu la sera prima dello stop per Covid, 10 marzo 2020, lugubre coincidenza – lascia un club e un presidente assai meno glamour, con 9 milioni di buonuscita (più 6 per il suo staff) e il pensiero probabilmente già rivolto al ritorno in Premier League a livello forse meno elevato dei precedenti – si parla del Nottingham Forest, ma comunque sempre di Premier si tratterebbe.
Mourinho allena ininterrottamente dal 2000, rapido a sorvolare gli esoneri e senza necessità di anni sabbatici: usa i mesi (sempre pagati) di stacco per imparare la lingua del Paese che verrà, come quando preparò l’avvento all’Inter con un professore d’italiano e l’ultimo giorno di lezione, prima di salire sull’aereo, gli chiese un’idea per impressionare tutti alla prima conferenza stampa. Nacque così quel leggendario «non sono pirla» che ancora oggi resta la sigla più appropriata a una carriera non più grande, ma che lo è stata eccome.
Il paradosso di Mourinho è che dentro di lui ci sia poco calcio. Pochissimo. Nulla di quel che ha applicato in questi 25 anni, e che ha fruttato una notevolissima bacheca di 26 trofei, verrà ricordato come originale o anche solo felicemente contaminato. Mourinho ha vinto difendendosi con un blocco basso e colpendo di rimessa in fasi di partita ben delimitate, spesso quelle finali, quando il sovraccarico di attaccanti immessi via via crea un caos che lui spesso sa governare meglio dell’altro allenatore. E dunque non è certo l’aspetto tecnico ad averlo reso lo Special One, quanto una leadership innata e luciferina che ovunque l’ha portato a nutrirsi dell’amore talebano dei suoi tifosi e di un altrettanto acritico odio da parte degli avversari.
Mourinho è una delle chiavi interpretative migliori della trasformazione del calcio da sport, sia pure di massa, a show globale senza pari. Irresistibile la sua postura da generale in tempo di guerra, come la capacità di replicare ogni volta lo stesso copione suscitando sempre la stessa fedeltà: gli inesauribili complotti arbitrali denunciati, la derisione dei rivali, perfino l’aggressione fisica al tecnico avversario passata per il dito nell’occhio al povero Tito Vilanova fino alla letterale presa per il naso di Okan Buruk (guardatela su YouTube, è pura comicità), con quello che stramazza al suolo come se fosse stato colpito da Tyson senza rendersi conto di passare così dalla parte del torto.
Mourinho in questi anni è stato eccessivo e rancoroso ma anche coraggioso e astuto, un angelo torvo capace di farsi seguire a passeggio sui carboni ardenti per un tempo finito da tutti, oppure per l’eternità ma soltanto da alcuni. Più volte nelle interviste ha raccontato il Triplete dell’Inter come la sua impresa più grande, e quello era uno spogliatoio che l’avrebbe sostenuto anche attraversando l’inferno. Poi però sono arrivati gli oppositori interni, i leader mal digeriti come Casillas, Sergio Ramos e addirittura Ronaldo a Madrid, le star che non rendevano come Pogba a Manchester, i capitani dubbiosi come Pellegrini alla Roma. Tutta gente che a un certo punto ha esclamato «il re è nudo», forse ignara (forse no) che Mourinho è stato in assoluto il caso più lampante di profezia che si autoavvera. Un genio, a patto di non discuterlo per evitare il rischio di scoprire che sotto il vestito, niente.