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 2025  agosto 30 Sabato calendario

La Rete è piena di sbobba artificiale

Un prigioniero che suona il violino, un incontro romantico tra il filo spinato. Momenti rubati di vita quotidiana ad Auschwitz. Che non sono mai avvenuti. Dal campo di concentramento sono uscite poche testimonianze fotografiche, ma nonostante questo, le nuove (e irreali) immagini stanno accumulando su Facebook migliaia di like, commenti, condivisioni. Che si traducono in migliaia di dollari di ricavi per i loro creatori: un gruppo di content creator con sede in Pakistan – rivelano le ricerche della Bbc – che sta sfruttando il potenziale dell’AI slop. Un termine («sbobba artificiale») che indica l’uso dell’intelligenza artificiale generativa per creare contenuti, di bassa qualità ma in grosse quantità, da distribuire sui social. Facile, veloce, molto remunerativo. Soprattutto se, con un po’ di astuzia, si fa leva su temi che toccano corde sensibili. Come l’Olocausto. Ma il nuovo mercato dell’emotività è in realtà alla base dell’evoluzione che sta prendendo la presenza dell’AI nelle nostre vite. I chatbot li usiamo sempre più per confidarci e chiedere un aiuto psicologico (con conseguenze anche terribili, come il suicidio del 16enne Adam). E loro (anzi, le società che stanno dietro) modellano le risposte per sembrare sempre più nostri amici e sempre meno freddi modelli che si basano su calcoli statistici per conversare con noi. Quando OpenAI ha provato a rendere ChatGpt più distaccato c’è stata una ribellione generale. Ha fatto marcia indietro. Il mercato dell’emotività crea dipendenza. In chi fa profitto e non solo