Corriere della Sera, 30 agosto 2025
Sirchia ricorda la prima estate senza fumo
Estate 2005, vent’anni fa: la prima estate senza fumo.
«La legge era in vigore da qualche mese, avevamo quindi già avuto la prova che stava funzionando e soprattutto che veniva applicata ovunque. C’era forse, con l’arrivo della bella stagione, qualche punto interrogativo in più».
Tipo?
«Uno dei temi era come si sarebbero comportati i fumatori nel raggiungere i luoghi di villeggiatura; soprattutto considerando che molti di loro, in quell’estate, avrebbero sperimentato per la prima volta un viaggio in treno senza le carrozze fumatori».
Andò bene?
«Andò benissimo. Le Ferrovie dello Stato erano state velocissime nell’adattarsi alle nuove norme. Scomparivano quelle orribili carrozze puzzolenti e soprattutto finiva il supplizio del personale viaggiante, costretto a lavorare in una condizione che definire di sofferenza sarebbe persino riduttivo: per anni, e qualche volta mi capita ancora oggi, ho ricevuto le strette di mano e gli abbracci delle lavoratrici e dei lavoratori dei treni da sempre costretti a subire il fumo passivo. Molti di loro convivevano con le bronchiti, a tanti era venuta l’asma… Ho ricevuto migliaia di “grazie”, non erano dovuti: avevo fatto il mio lavoro».
Sarebbe stato impossibile chiedere a Girolamo Sirchia di raccontare la sua estate senza partire da quella, storica, di vent’anni fa: la prima dall’approvazione della legge che porta il suo nome, definitiva dal gennaio precedente. Nel frattempo, dal gennaio a giugno del 2005 era cambiato il governo: il Berlusconi II, dopo la sconfitta del centrodestra alle regionali, aveva ceduto il passo al Berlusconi III. Al posto di Sirchia, al ministero della Salute, era arrivato Francesco Storace.
I proprietari di bar e ristoranti, molti di loro contrari alla legge antifumo, si erano placati nel frattempo?
«Ripetemmo fino allo sfinimento che dietro la decisione di andare avanti con la legge non c’era alcun intento punitivo, né nei confronti dei locali pubblici e nemmeno dei fumatori. Era un provvedimento di salute pubblica diventato doveroso. Ricordo il giorno, credo fosse proprio all’alba di quell’estate, in cui presi un microfono alla stazione centrale di Milano e lo dissi con chiarezza. Scattò un applauso spontaneo».
La sua prima estate da ministro se la ricorda?
“Benissimo, soprattutto per un dettaglio. Quando avevo prenotato le vacanze, verso la fine della primavera del 2001, non avevo la più pallida idea che qualche settimana dopo sarei entrato a fare il ministro della Salute. Avevo prenotato per agosto due settimane a Salina, alle Eolie».
Ad agosto vanno in vacanza anche i ministri, che problema c’era?
«Un problema, grossissimo, esplose proprio quando misi piede sull’isola, troppo tardi per tornare indietro».
Che problema?
«Lo scandalo Lipobay, dal nome di quel farmaco che riduceva il colesterolo ritirato dal commercio senza tante spiegazioni. All’assunzione di quel farmaco erano legate alcune morti allora sospette, una delle quali era purtroppo avvenuta anche in Italia. Passai tutta la vacanza a Salina al telefono, a gestire da remoto una situazione sempre più allarmante».
Le sue estati da bambino?
«Le associo a due luoghi: una pensione a gestione familiare a Bellaria, nella riviera romagnola, dove ci aveva portati mio papà; e una colonia estiva con i compagni di classe a Fano, nelle Marche, un anno in cui i miei non avevano avuto la possibilità di muoversi da Milano. Parliamo della fine degli anni Trenta: poi scoppiò la guerra e in vacanza non andammo più».
La sua estate del cuore?
«Posso essere onesto?».
Deve.
«Il fatto che negli ultimi anni le vacanze si siano trasformate in una sorta di isteria collettiva, nel senso che bisogna partire a tutti i costi e chi non parte finisce per patire addirittura una specie di contraccolpo psicologico, mi lascia abbastanza perplesso. Sento di persone che non partono, o partono per pochi giorni; e che lo vivono come se fosse un vulnus irreparabile».
Dice così perché lei ha la possibilità di andarci, in vacanza.
«Nient’affatto. Le volte che non ho avuto la possibilità di passare l’estate al mare, o quelle in cui l’ho potuto fare per poco tempo, non le ho vissute come una malattia. Puoi partire? Bene. Non puoi partire? Pazienza».
È in vacanza, adesso?
«Macché. Sto lavorando».