Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  agosto 30 Sabato calendario

Bangkok, Shinawatra rimossa per aver chiamato il nemico «zio»

Destituita dalla Corte costituzionale, come altri quattro primi ministri prima di lei, Paetongtarn Shinawatra non è più a capo del governo thailandese, perché in una sua telefonata con il presidente del Senato cambogiano Hun Sen avrebbe «violato le norme costituzionali sull’etica». La sentenza comporta la perdita immediata del suo incarico, che ricopriva da circa un anno. 
Paetongtarn – che appartiene alla «dinastia» politica conservatrice degli Shinawatra, che tra un golpe e l’altro sono stati protagonisti degli ultimi decenni della politica thailandese – era già stata sospesa dalle sue funzioni il 1° luglio, quando la Corte ha accettato di esaminare il caso contro di lei, mentre il vice primo ministro Phumtham Wechayachai assumeva i suoi incarichi. 
La telefonata trapelata tra Paetongtarn e Hun Sen, che risale allo scorso 15 giugno, mirava ad allentare le tensioni al confine – i militari dei due Paesi si stavano sparando per questioni territoriali (260 mila sfollati e decine di morti in 5 giorni di guerra) – ma nello scambio la premier, che usava i toni della diplomazia e chiamava Hun Sen con l’appellativo onorifico «zio», alla Corte è apparsa troppo deferente in quella che era pur sempre una questione di sicurezza nazionale. Paetongtarn avrebbe anche diffamato un generale thailandese. 
Come lo si sa? L’audio della chiamata è stato diffuso online da Hun Sen, che è stato primo ministro della Cambogia per 38 anni fino a quando suo figlio Hun Manet non ha assunto l’incarico nel 2023: un altro Paese «dinastico», pur con istituzioni democratiche. 
La sentenza della Corte minaccia la tenuta della coalizione di governo, che è guidata proprio dal partito sostenuto dagli Shinawatra, il Pheu Thai (che a sua volta non era stato il più votato, ma aveva goduto dell’appoggio delle altre istituzioni contro il vincitore delle ultime elezioni, il partito dei giovani Move Forward). il Pheu Thai, sulla telefonata con Hun Sen, ha perso l’appoggio del partner principale della coalizione, il Bhumjaithai, e ora ha una risicata maggioranza. Ieri il leader del Bhumjaithai, Anutin Charnvirakul, ha detto che avrebbe i numeri per formare un governo ad interim.
La «caduta» di Paetongtarn è un duro colpo anche per la macchina politica di suo padre, il controverso miliardario ed ex primo ministro Thaksin Shinawatra. Estromesso dal potere nel 2006 da un colpo di Stato militare, Thaksin è riuscito a rimanere una forza dominante nella politica thailandese, sostenendo partiti conservatori come il Pheu Thai. La sua forza deriva dalle politiche populiste da lui promosse e dall’enorme fortuna accumulata nel settore delle telecomunicazioni. Proprio per questo si dice che sia inviso alla Corte costituzionale, organo di garanzia che negli ultimi anni ha già rimosso vari primi ministri, tutti appoggiati da Shinawatra. Paetongtarn, sua figlia, è solo l’ultima di una lista di cinque. Prima di lei erano stati premier, anche la zia Yingluck (a sua volta rimossa dalla Corte costituzionale) e Somchai Wongsawat, un cognato di quest’ultima e di Thaksin