Avvenire, 29 agosto 2025
«Topi, sporco, escrementi e cibo scadente: la normalità di noi reclusi a Poggioreale»
Sopraffatto dal dolore e dalla solitudine un altro detenuto si è impiccato nella sua cella. Aveva 61 anni, era un italiano sottoposto a misura cautelare in carcere da dieci giorni in base al “codice rosso” che si applica a chi ha commesso reati di violenza domestica o di genere. La tragedia è avvenuta mercoledì mattina nella Casa circondariale di Busto Arsizio (Varese). Ma si è saputo solo ieri.
Continua, dunque, la silenziosa mattanza nelle carceri italiane. Gesti estremi inascoltati, perché mancano ancora risposte concrete e adeguate. Sono arrivati a 58 i morti per suicidio dall’inizio dell’anno e 32 risultano i decessi “per cause da accertare». Nell’istituto di pena lombardo sono stipati 423 reclusi ma la capienza regolamentare è di 211 posti. «Ce ne sono più del doppio – sottolinea Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato di Polizia penitenziaria (S.Pp) – gestiti da appena 178 agenti quando ne servirebbero almeno 314: il deficit è del 44%». Anche qui, oltre al personale di sorveglianza, scarseggiano gli educatori, il che significa non poter seguire come necessario tutti i reclusi più fragili, e sono più del 25%, con disturbi psichici certificati, tossicodipendenti, affetti da altre patologie croniche. L’uomo che si è tolto la vita, oltre ad essere stato allontanato ope legis dalla famiglia avrebbe perso anche il posto di lavoro: disperato, si era chiuso in sé stesso isolandosi dai compagni di cella, appena due giorni prima era stato trasferito dal reparto a trattamento intensificato alla sezione detenuti comuni. «Non sempre, purtroppo, si riesce a intercettare il dolore che si nasconde dietro le sbarre – commenta il cappellano del carcere, don David Maria Riboldi –, e io in questo caso non ho potuto fare altro che pregare per quest’uomo: l’ho fatto insieme con due persone recluse, davanti al blindo chiuso della stanza dove si trovava il suo corpo, mentre si attendeva l’arrivo dell’autorità giudiziaria».
La vita, nelle prigioni del Paese, si fa sempre più impossibile. E d’estate con il caldo le condizioni igienico-sanitarie, in molti casi già precarie, peggiorano. Dalla Casa circondariale di Napoli Poggioreale un recluso nel Padiglione Torino (riservato ai soggetti in regime di “protezione”) ha scritto al nostro giornale per denunciare l’esistenza di ambienti insalubri e sporchi, come le aree di passeggio dei detenuti e i cortili «che vanno disinfestati», perché sarebbero pieni «di escrementi di gabbiani e colombi, ma anche di quelli umani, inoltre, in questi spazi esterni corrono i ratti ed esiste il rischio che scoppi un’epidemia». «Poi non ci sono panchine – aggiunge il recluso – e noi durante l’ora d’aria siamo costretti a sederci sulle scale di accesso ai passeggi che sono anch’esse sempre luride. Non esistono cestini per l’immondizia e per terra è pieno di cartacce, e infine bisogna parlare anche della mensa, che ci propina ogni giorno sbobbe immangiabili. Così il carcere produce solo recidiva». Il detenuto chiama in causa il Garante dei detenuti della Campania, Samuele Ciambriello: «Cosa fa? Perché non interviene?». «A Poggioreale la situazione non è molto diversa da quella di tante altre carceri italiane, quindi è disumana e intollerabile – sostiene don Franco Esposito, fino a quindici giorni fa cappellano dell’istituto di pena napoletano, oggi parroco nel quartiere Monticelli –, ed è vero che spesso i topi scorrazzano nei cortili esterni, inoltre credo che la cucina andrebbe chiusa se non vi saranno al più presto interventi di risanamento». Nei 12 padiglioni dell’istituto partenopeo, ritenuto uno dei più turbolenti d’Europa, vivono attualmente 2.113 detenuti a fronte di 1.624 posti regolamentari, 295 dei quali non disponibili per lavori di ristrutturazione. L’indice di sovraffollamento è del 160% circa. Gli edifici sono, perlopiù, fatiscenti. Gli agenti penitenziari in servizio sono 664 ma l’organico ne contempla 828. E qui operano soltanto 20 educatori. Le 598 stanze di detenzione (121 ora chiuse), molte delle quali occupate anche da dieci persone, sono dotate in totale di 348 docce, 142 bidet e 536 servizi igienici con porta. Dal primo gennaio due sono stati i suicidi, entrambi tramite impiccamento: si tratta di detenuti in attesa di primo giudizio, un italiano di 34 anni (che si è ucciso il 13 marzo) e un algerino di 34 (trovato senza vita nella sua cella quindici giorni dopo). Ancora da accertare le cause della morte di un terzo recluso. I tentativi di suicidio sono stati invece 24 mentre gli atti di autolesionismo risultano finora 196. Trentasei gli eventi critici (risse, aggressioni, proteste violente) registrati in otto mesi a Poggioreale. Infine, le evasioni: l’ultima, quella più eclatante, è avvenuta nella notte del 18 agosto, quando sono fuggiti due giovani detenuti, un algerino e un siriano: approfittando dell’assenza di controlli hanno praticato un foro nel muro perimetrale e, saliti sulla cinta, si sono calati dall’altra parte con una corda realizzata usando le lenzuola delle brandine. Ma sono stati catturati dopo poche ore.