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 2025  agosto 29 Venerdì calendario

La riviera di Tony Blair che spaventa il mondo arabo

Certo ne è passato di tempo da quando alzava il “muro rosso” in Gran Bretagna e riportava a Downing Street quella politica che allora sapeva sinceramente di sinistra britannica.
Poi nel 2007 ha lasciato il Labour e pian piano gli ideali hanno fatto posto agli affari. Una scelta che i liberal (o meglio, ciò che di loro restava) non gli hanno mai perdonato e che, alle urne, si è trasformata in “disaffezione” per anni. Fino al ritorno al potere l’anno scorso dei laburisti con Keir Starmer scelto, in verità, più per i demeriti di Rishi Sunak e dei Tory che per meriti suoi. Così da mesi l’uomo del quartetto per il Medio Oriente, che avrebbe dovuto imbastire la soluzione per il problema dei problemi, cioè lo Stato palestinese, oggi si ritrova dall’altra parte della barricata. Per questo l’altra sera, all’incontro riservato sul futuro della regione, il “barboncino di Bush (come Blair veniva chiamato dai detrattori ai tempi della seconda Guerra del Golfo) era alla Casa Bianca come consulente. Insieme all’inviato speciale Usa Steve Witkoff, a Donald Trump e al genero del presidente, Jared Kushner, il principale artefice degli accordi di Abramo del 2020 che hanno visto Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco normalizzare i legami con Israele. Proprio Blair e Kushner sono i referenti di Witkoff (e di Trump) nel progetto “Gaza” che hanno illustrato (dicono i più informati) agli altri presenti tra i quali il segretario di Stato americano Marco Rubio e il suo collega israeliano israeliano Gideon Sa’ar.
Sempre da mesi, i discorsi sul futuro (per quanto suoni ironica questa parola) del Medio Oriente, erano tornati a coinvolgere l’ex premier britannico Blair. A luglio, era infatti emerso che il suo think tank (il Tony Blair Institute for Global Change, con più di 900 dipendenti in oltre 45 Paesi) avrebbe contribuito a definire la controversa proposta americana di fare di Gaza una Riviera. La direzione del miliardario istituto blairiano ha disconosciuto la paternità del piano, ma il“Financial Times” ha rivelato una serie di telefonate tra alcuni membri dello staff e scambi in una chat di messaggistica utilizzata per il progetto che invece lo testimonierebbero. Nel progetto sarebbero coinvolti uomini d’affari israeliani e la società di consulenza statunitense Boston Consulting Group (Bcg). Questo è cronaca delle scorse settimane. Addirittura nella “Gaza Riviera” – da costruire previo sfollamento forzato dei palestinesi, attualmente in corso a Gaza City – si era discussa anche la costruzione di una zona manifatturiera intitolata a Musk, la “Elon Musk Smart Manufacturing Zone”. Idea probabilmente accantonata dopo le liti (almeno di facciata) tra il sudafricano e il tycoon. Quello che si è deciso l’altra sera nel segreto dell’Oval Office alla Casa Bianca (per la prima volta da mesi tornata ad essere un luogo riservato a pochi e inviolabile alle telecamere) lo si saprà a spizzichi e bocconi nelle prossime settimane. È presumibile che il futuro progetto venga presentato mascherato da interventi umanitari e aiuti allo sviluppo. Ma la sostanza, temono in troppi sulle sponde nord-orientali del Mediterraneo, potrebbe deviare ben poco dall’idea iniziale imbastita proprio da Blair e Kushner.
Per questo i palestinesi in questi tempi grami, temono il classico flagello che si abbatte sempre sugli sconfitti della storia: dopo il danno anche la beffa. Dopo le distruzioni, dopo oltre sessantamila morti e le case rase al suolo anche l’esilio per vedere la costa trasformarsi in resort