il Fatto Quotidiano, 29 agosto 2025
Come funziona l’edilizia sociale in Europa
Non siamo soli. La Commissione europea, riconoscendo un problema per quanto riguarda il diritto all’abitare, sta provando a mettere a punto per il 2026 un Piano casa europeo, con un finanziamento a partire da 10 miliardi di euro per la costruzione di nuovi alloggi popolari (i dettagli sono ancora fumosi), primo step di un’azione più ampia. Il problema abitativo è forte più o meno ovunque, e anzi il caso italiano è anomalo nel continente: altrove i prezzi delle case in vendita (che in Italia sono calati negli ultimi 15 anni con alcune notevoli eccezioni) sono saliti, anche raddoppiati, insieme a un aumento dei salari che da noi non c’è stato, ma creando crisi abitative e sociali.
Le tradizioni di gestione degli alloggi, privati e pubblici, e del diritto all’abitare variano profondamente all’interno dell’Unione e anche da città a città. E se mancano dettagli, appare evidente – a partire dagli attori in campo, cioè fondi immobiliari e non – che il “piano casa” nostrano, rilanciato da Giorgia Meloni il 27 agosto, abbia parecchi ingredienti alla milanese, non all’europea: aiuti ai privati tramite oneri di urbanizzazione troppo bassi, pochi vincoli per chi costruisce, social housing partecipato dai fondi. La presunzione secondo cui Milano sarebbe diventata una città più “europea”, per il diritto all’abitare è infondata. I bassi oneri di urbanizzazione meneghini, che ora la Procura contesta agli amministratori, sono in linea con quelli italiani: dal 2 al 5-6% a livello nazionale, stimava nel 2021 l’economista del Politecnico di Milano Roberto Camagni, mentre a Berlino sono del 30%, a Parigi del 15%. Ma non è solo una questione di costi, in diverse città europee, come Parigi, ci sono vincoli molto forti per quanto riguarda l’edilizia sociale: insomma, se vuoi costruire, una quota tra il 20 e 30% di quello che costruisci deve diventare alloggio a canone calmierato. In Italia – dipende dai Comuni – questa quota è spesso zero.
In un periodo storico in cui il capitalismo finanziario ha aggredito la casa e la rendita, ogni città ha fatto da sé. Da Vienna, definita “utopia per gli affittuari” dal New York Times, con una disponibilità di 400 mila alloggi pubblici in continuo ampliamento, a Dublino che con un numero di abitanti simile a quello di Roma o Milano, ha più che raddoppiato il costo degli affitti in 15 anni, complice una politica di attrazione delle grandi multinazionali. Il contesto spesso fa la differenza: Berlino aveva e ha una enorme disponibilità di alloggi pubblici, ma la caduta del muro, la grande disponibilità di spazi, l’interesse internazionale, ne ha fatto una delle città in Europa che si trova più alla mercé dei fondi immobiliari. Londra, così come Lisbona – con dinamiche e problemi molto diversi tra loro – hanno recentemente fermato la politica di attrazione dei super ricchi internazionali, che invece è ancora in vigore in Italia, contribuendo a gonfiare i valori di mercato. Barcellona ha deciso di vietare nuovi affitti brevi dal 2028.
In effetti in un sistema italiano in cui la larga maggioranza delle abitazioni è proprietà delle famiglie, il confronto più stringente riguarda la Spagna, che si sta trovando in questi anni ad affrontare problemi simili, dalla carenza di alloggi popolari (ne ha ancor meno dell’Italia), al caro affitti legato anche al proliferare degli affitti turistici. Il governo, oltre a norme per disincentivare gli affitti brevi e l’acquisto di case da parte di persone non residenti nell’Ue, ha stanziato 7 miliardi per provare, in 10 anni, a portare gli alloggi pubblici al 9% di quelli esistenti, in linea con la media europea. Sia con nuove costruzioni, sia tramite l’acquisto di case esistenti. Il sistema teorizzato dal nostro governo non somiglia neppure al rental control, i sistemi di calmieramento degli affitti in vigore quasi in tutta Europa (tranne in Grecia), perché il prezzo dell’affitto continuerebbe a restare libero, solo una piccola quota verrebbe ceduta con uno sconto (garantito dallo Stato): è un piccolo, e poco efficace, unicum.