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 2025  agosto 29 Venerdì calendario

Il prete rapper di Torino

Ritmo sincopato e rime di strada oltre il Portone di Bronzo. «Il rap e il rock avvicinano a Dio se il messaggio unisce invece di dividere. Non è il genere a rendere sacra la musica, ma la capacità di suscitare spiritualità». È così che don Peppe Logruosso, 40 anni, sacerdote pugliese in servizio a Torino tra la Gran Madre di Dio e l’ospedale Martini, riassume il senso della sua attività musicale e pastorale «nei contesti più fragili in cui le persone e in particolare i giovani cercano speranza anche dove sembra esserci solo dolore».Una missione benedetta dal Vaticano. Ad avallare, infatti, oltre Tevere il suo percorso sono riconoscimenti prestigiosi conferiti a breve distanza l’uno dall’altro. Prima il Catholic Music Awards all’Auditorium Conciliazione di Roma. E ora premio musicale della Pontificia Accademia Mariana Internazionale assegnato per un brano dedicato alla Madonna e ispirato a una preghiera di don Tonino Bello, il “vescovo della pace” in via di beatificazione. Traguardi che, precisa subito, «sono occasioni per ringraziare chi mi accompagna, non obiettivi personali di gloria». Il 6 settembre sarà ricevuto in udienza da Leone XIV. «Non mi sento protagonista ma testimone di un cammino condiviso con tante persone», aggiunge.Le canzoni come ponti verso i giovani. È nata prima la vocazione sacerdotale o la passione per la musica?«Senza dubbio prima la vocazione. La musica è con me fin dall’adolescenza: mi ha aiutato a pregare, a leggere le mie emozioni, e spesso a comunicare quello che non riuscivo a dire a parole. Nel 2017 ho iniziato a comporre mentre frequentavo la specializzazione in pastorale giovanile alla Pontificia Università Salesiana. La mia tesi riguardava proprio la musica come strumento per comunicare il Vangelo alle nuove generazioni. Con il tempo, la passione musicale è diventata parte integrante del mio ministero: un linguaggio per annunciare, accompagnare e camminare insieme a chi incontro, specialmente i più giovani».Eppure di cristiano il rap e il rock sembrano avere poco…«Dipende sempre dal messaggio che si sceglie di veicolare. La musica, in qualunque genere, è uno strumento potentissimo: può diventare una carezza o una ferita. Per me è soprattutto un ponte, capace di raggiungere anche chi forse non metterebbe mai piede in una chiesa. Il rap mi offre un linguaggio diretto, vicino al vissuto dei ragazzi. Ma proprio per questo il lavoro più impegnativo per chi fa musica cristiana è purificare i testi da stereotipi, parole vuote o messaggi negativi, e trasformare la quotidianità – con le sue gioie e contraddizioni – in suoni e parole che aiutino a crescere, a leggere la propria vita alla luce di un senso più grande. In fondo il binomio fede-musica è un vero esercizio spirituale, un cammino che coinvolge prima di tutto chi scrive e canta».Da cosa trae ispirazione per i suoi brani?«La mia ispirazione nasce soprattutto dai luoghi e dalle persone in cui e con cui vivo il mio ministero. A Torino ho prestato servizio in contesti in cui l’umano è messo alla prova: in ospedale come assistente religioso e, a breve, in maniera stabile nelle comunità terapeutiche e nei dormitori per persone senza fissa dimora, come concordato con il vescovo della mia diocesi. Devo molto a don Paolo Fini, allievo di don Mario Picchi e presidente del Centro Torinese di Solidarietà, che da oltre 40 anni presta servizio nelle carceri, nelle comunità terapeutiche e dormitori: per me è un punto di riferimento. Da lui ho imparato che prima di ogni parola bisogna esserci con la propria presenza, e che per prendersi cura di qualcuno occorre prima di tutto una sincera autocoscienza delle proprie capacità e dei propri limiti. Questi luoghi e incontri mi hanno insegnato che il farsi prossimo nasce da un ascolto profondo e da una disponibilità reale».In che modo?«Negli anni più difficili del Covid, all’ospedale Martini, ho vissuto accanto a chi soffriva e a chi curava, portando un po’ di ascolto e speranza: proprio lì, insieme al dottor Giulio Benna, è nata una radio interna, e alcuni brani sono scaturiti da quel contatto diretto con persone nel pieno della prova. Anche con i ragazzi delle comunità terapeutiche, la musica diventa un linguaggio privilegiato: un mezzo per far emergere e trasformare emozioni che, a parole, faticano a uscire. Tutto questo – volti, storie, emozioni – è il terreno da cui germogliano le mie canzoni».Il titolo del suo libro con Andrea Montesano – “Ma il cielo è sempre più rock” (San Paolo) – sembra già un manifesto…«Quel libro raccoglie tante storie ed esperienze di adolescenti, provando a leggere le loro canzoni preferite come tracce di spiritualità, piccole impronte di Dio lasciate nei testi e nelle melodie che scelgono di ascoltare. Parla dei loro sogni, ma anche delle ferite, delle paure, delle domande che li abitano. Con Andrea Montesano abbiamo provato a entrare in quel mondo senza giudicarlo, lasciandoci sorprendere dalla profondità che può nascondersi dietro musiche apparentemente leggere. Il titolo è un invito a guardare il cielo – e quindi Dio – con occhi capaci di riconoscerlo anche nei luoghi e nei linguaggi più impensati, compresi quelli del rock, del rap, del pop, perché ogni musica può diventare preghiera se ascoltata con il cuore aperto».Come fa a conciliare il lavoro pastorale con una produzione musicale così intensa?«Sono due attività che si rafforzano a vicenda. Scrivo brani per le Edizioni Paoline, a cui dedico i riconoscimenti ricevuti, perché sono loro che mi hanno dato fiducia e accompagnato in questi anni. Sto lavorando a un nuovo brano in uscita a settembre che lancerà l’album di raccolta dei brani pubblicati fino a oggi con il progetto ‘d_Peppe & d_Gang’. È un percorso che non riguarda solo me come compositore e interprete, ma un gruppo di giovani: cantanti, musicisti, arrangiatori, videomaker, tecnici del suono. L’idea è far sì che la musica diventi un laboratorio creativo e comunitario, non solo un prodotto da ascoltare».Quali sono i prossimi passi?«Non ho una “meta”. Se c’è una missione, è continuare a intrecciare la vita con quella di chi incontro, portando avanti il messaggio che la musica – qualunque musica – può diventare un ponte. La speranza è che questo ponte porti un po’ più vicino a Dio».