La Stampa, 29 agosto 2025
Reportage tra i malati di Bingo
In una serata di agosto a Roma, mi sono unito al popolo dei fantasmi della sala Bingo. In un primo timido tentativo mi sono affacciato in un paio di quei luna park per adulti, uno stava a dieci minuti a piedi dal Cupolone.C’era pochissima gente ma ne ho approfittato per togliermi di dosso quell’aria impacciata da parvenu. Una volta dentro sono stato intriso da un odore acre che non sentivo nei locali pubblici dal tempo in cui si fumava al cinema, infatti pur non fumando mi ero infilato nella sala fumatori. Un cameriere mi aveva fatto accomodare a un tavolo dove c’era un unico signore barbuto, immobile come una statua, che sembrava una ciminiera. Non sono andato per stare solo, quindi sono restato dove si fuma, scegliendo un tavolo più composto dove sedeva una signora dal bell’aspetto che fu, immagino originaria di qualche Paese dell’America Latina, lei masticava una sigaretta elettronica. La maggior parte dei giocatori erano donne, quasi tutte straniere. Molte le filippine o in generale asiatiche. Qualcuna parlava spagnolo, è il gruppetto compatto delle peruviane, ci sono anche albanesi e romene.Provo a chiedere alla mia compagna di tavolo come si giochi, mi guarda scocciata e mi indica le operatrici in divisa che girano tra i tavoli con rotoli di cartelle. A quell’ora costano un euro l’una, mi consiglia di prenderne cinque. Solo ora so che era la cosa peggiore per un principiante. Lei infatti ne prendeva una per volta, le erano rimasti solo dieci euro e così li centellinava. I numeri escono velocissimi, non faccio in tempo a trovarli, mi sono anche seduto in un posto dove non si vede il monitor con quelli usciti. Mi viene l’ansia, ancora inseguo vanamente i numeri sulle mie cartelline, qualcuno fa cinquina e bingo in pochi minuti, quando ancora io sto cercando uno dei numeri usciti, anche nelle giocate successive restavo vergognosamente indietro.Molte giocatrici hanno accanto dei grossi piatti di tonnarelli al pomodoro, che restano a lungo dimenticati sul tavolo. Mangiano mentre annullano le caselle, ognuno esegue il suo annerimento personalizzato con il pennarello fornito dalla casa, intanto fumano. La sinestesia che mi attraversa è un mix di salsa riscaldata al microonde, tabacco e svapate aromatiche, a cui si aggiungono luci da interrogatorio, monitor dove lampeggiano numeri e scritte che non decifro, poi quella voce sempre uguale che velocissima legge i numeri. Mi comincia a girare la testa, giuro. Imperterrite le operatrici girano tra i tavoli e vendono le schedine che si pagano in contanti, la vincita a chi fa cinquina o bingo si paga sempre in contanti.Esco dalla sala per prendere fiato, i camerieri mi guardano con commiserazione. Passo attraverso delle Forche Caudine di macchinette con luci e rumori. A giocare solo un signore cinese in pinocchietti e ciabatte. Quello è il dress code dominante, io che sudavo nella mia giacchetta da Umberto D, esco finalmente a riveder le stelle.Ho già perso venti euro, mi è passata la fame, però non mi arrendo. Vado a cercare una sala Bingo più frequentata.Scende la notte e mi sposto verso la via Aurelia, mi fermo di fronte un’insegna che copre lo spazio di sei vetrine. Entro deciso, oramai mi sento un consumato giocatore. Ancora una volta la sala fumatori è la più frequentata. Conto almeno duecento giocatori, i tavoli sono quasi tutti pieni e oltre a giocare tutti mangiano. L’odore predominante è quello dei popcorn e delle piadine. Guardo il menu incellofanato, si mangia con 5 euro, patatine, verdure grigliate, un primo. Quasi tutti mangiano robe fritte e le schedine nel veloce lasso della loro compilazione si impregnano di unto. L’ambiente è più informale dei precedenti, anche qui soprattutto uomini e donne asiatici, parlano tra loro una lingua per me incomprensibile, è una sorta di basso continuo, un miagolio che accompagna l’estrazione dei numeri. Ogni tanto la numerazione si interrompe e dall’altoparlante si chiede di fare silenzio. Sul tavolo ogni giocatore ha un mucchietto di banconote e qualche spicciolo. Immagino che sia il budget che si sono prefissati per la serata. Osservo però che cala a ogni giocata.Ho scelto strategicamente l’unico tavolo dove sono sedute due coppie di coniugi romani sui settanta anni. Capisco dai discorsi che sono habitué, minimo due o tre volte a settimana si siedono a quei tavoli come andassero in pizzeria, ma non sono per niente allegri. Le signore mangiano piadine e si lamentano che sgocciolino unto sui loro vestitucci a fiori. I mariti sembrano meno convinti, parlano di cambiare l’auto e dei prezzi di mercato. Non voglio pensare che per loro il Bingo sia visto come una possibile svolta.Intanto le signore non vincono. Gli uomini borbottano all’indirizzo di un tavolo vicino di soli stranieri che può issare una specie di pinnacolo dorato, è il testimone di chi ha fatto bingo, uno simile argentato indica la cinquina. Gli inservienti, anche loro di varie etnie asiatiche e latino americane, velocemente spostano i simboli della fortuna di tavolo in tavolo, a seconda di chi vince. «Quelli hanno un culo incredibile» mi dice l’ometto pieno di rabbia e comincia a borbottare una sua teoria su un possibile complotto, che favorirebbe alcune persone piuttosto che altre. Intanto la moglie ha finito i soldi: lo manda con la carta di credito a prelevare contanti e lei continua imperterrita ad azzannare piadine grondanti e acquistare schedine a blocchi di cinque. Nell’oretta in cui resto seduto avranno sicuramente speso, tra lei e il marito, un centinaio di euro; si sarebbero potuti permettere un bel ristorante, mangiare decentemente e vedere il cielo stellato. Restano però seduti anche quando io mi alzo, capisco che per loro la notte è ancora giovane.Uscendo studio i volti impietriti di donne anziane e male in arnese, personaggi indecifrabili che di giorno non avrei mai notato per strada. Colf, badanti, uomini che vediamo nelle cucine dei ristoranti, nelle frutterie, nelle lavanderie. Gente malata di gioco, che baratta quello che di meglio può dare, anche a buon mercato, una metropoli nel confortante mortorio di una notte d’agosto, per chiudersi in una bisca autorizzata. Le loro ferie le passano dove la luce è sempre la stessa, a qualunque ora del giorno e della notte, dove c’è tanta gente ma nessuno parla al vicino, perché chiunque è un nemico che potrebbe urlare cinquina o bingo un istante prima di te.La sala Bingo è un posto più o meno uguale in tutto il mondo, buono per tutte le ore e tutte le stagioni; estate compresa. Le sedie sono comode perché non ti venga voglia di alzarti, ti puoi rimpinzare con pochi soldi, solo perché tanti altri ne lasci per inseguire una fortuna che tocca sempre agli altri. Capisco che per molti di loro questo corrisponda al metadone per un tossico, se non ci fosse la sala Bingo andrebbero ovunque si possano giocare dei soldi. Senza i cartelli che invitano a non farsi prestare denaro, di non insistere a giocare se si perde, a controllarsi.Servono le raccomandazioni scritte? Non lo so, gli sguardi che ho incrociato a quei tavoli non avevano nulla di gioioso, questo è sicuro. Non bastano cameriere sorridenti e lucette colorate per rendere glamour un luogo dove ci si rinchiude per dipendenza.A botte di due euro ogni cinque minuti ho lasciato in quella sala Bingo più di cinquanta euro. Mi sono volati tra le dita, a piccole dosi di monete che sembravano perdite veniali, quasi mance a cui nessuno fa caso. Torno a casa velocemente. Appena in tempo, prima che il “demone ludopate” attanagli anche me.