La Stampa, 29 agosto 2025
Conte e Schlein non sono stati invitati al Meeting di Rimini
C’era una volta – appena tre anni fa – il Meeting che ospitava il dibattito elettorale fra Giorgia Meloni ed Enrico Letta. Ci sono stati Meeting che hanno tributato applausi a Luigi Di Maio, Nicola Zingaretti, Walter Veltroni, a Matteo Renzi, che pure quelli di Comunione e Liberazione non amano perché viene da un mondo lontano a loro, quello degli scout. Ci fu un Meeting in cui il laico Pierluigi Bersani – era il 2003 – cercò gli applausi della platea ricordando che la vera sinistra non era nata dal bolscevismo, ma «dalle cooperative bianche dell’Ottocento». Se la kermesse della più influente lobby cattolica moderata ci racconta qualcosa dell’appeal della sinistra verso il centro, il Meeting del 2025 verrà invece ricordato come uno dei meno partecipati di sempre. Quest’anno a Rimini sono sfilati tredici ministri, l’ex premier Mario Draghi, la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, giudici costituzionali, amministratori delegati di grandi aziende, ma nessuno dei leader della sinistra. Non pervenuti il già citato Renzi, Carlo Calenda, ma soprattutto né Elly Schlein, né l’ex premier e leader Cinque Stelle Giuseppe Conte.A chi chiede ufficialmente il perché, i vertici del Meeting hanno spiegato che la kermesse risponde ad alcuni codici, che una cosa sono i ministri, altri i leader di partito. Un fatto è innegabile: mai come oggi i leader dei due grandi partiti di opposizione non riscuotono alcun consenso negli ambienti moderati. Aiutata dal movimentismo di Matteo Salvini e dalla vocazione laica di Forza Italia, Giorgia Meloni ha quel pubblico dalla sua ed intenzione di tenerselo stretto a lungo. Lo ha conquistato «lisciandogli il pelo», per usare le parole di Rosy Bindi. La lista dei pochi esponenti della sinistra passati da Rimini dice molto di come la pensano gli eredi di Don Giussani: oltre all’ex premier Enrico Letta e il presidente della Regione Emilia Michele De Pascale, solo Graziano Delrio, Pina Picierno, Irene Tinagli, Giorgio Gori, tutti esponenti della minoranza interna. Di più: i pochi critici agguerriti della linea della segretaria, la quale sembra aver riportato il partito ai fasti del centralismo democratico di berlingueriana memoria, quando le correnti erano bollate come centri di potere, e non luoghi per il dibattito interno.Vero, non è usanza del Meeting invitare programmaticamente i leader di partito. E però a Rimini il coordinatore di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli c’è stato eccome, accolto da un pubblico più piccolo ma caldo come quello che si è spellato le mani per la premier. Spiega un vecchio frequentatore di Rimini che chiede di non essere citato: «Il problema fra Conte e Cl è più un problema di Conte, convinto che il suo elettorato reputi il Meeting una vetrina del potere. Fra Cl e Schlein c’è invece una vera e propria antipatia. La linea della segretaria sui diritti civili e la famiglia è incompatibile con loro».Nella componente cattolica del partito la distanza fra la linea della segretaria e le istanze moderate sta diventando un caso. I partiti di Renzi e Calenda sono reputati troppo laici (Azione) o troppo personali (Italia Viva), dunque non in grado di accogliere quelle istanze. C’è chi spera nell’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Ruffini e chi invece crede che il problema non sia di etichette ma di linea politica. Spiega il costituzionalista Pd Stefano Ceccanti, già presidente degli universitari cattolici della Fuci: «Il tipo di cattolicesimo che si riconosce nel Meeting è tradizionalmente più vicino al centrodestra, dunque non mi stupisce sia affascinato da Giorgia Meloni. Il problema in questo momento a sinistra è molto più grande: i gruppi di opposizione non riescono a intercettare nemmeno gli altri cattolicesimi diversi da quello di Rimini». Il solco fra la sinistra e il mondo cattolico sembra riportare le lancette indietro a quando un gruppo di militanti di Cl inventarono il Meeting. Lo raccontava qualche anno fa sul suo blog il giornalista Robi Ronza, storico portavoce degli amici di Don Giussani: «Quelli erano i tempi nei quali una larga parte del mondo cattolico o subiva passivamente l’egemonia della visione del mondo laica-marxista, religione ufficiale di quasi tutta l’intellighenzija italiana dell’epoca, oppure si sottraeva al confronto con essa». Correva il 1980, il partito era ancora quello comunista, e il muro di Berlino sarebbe caduto solo nove anni dopo