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 2025  agosto 29 Venerdì calendario

La storia dell’Accademia Filarmonica di Verona, la più antica d’Europa

Sei secoli di storia, di musica, di potere. Pedigree d’eccezione quello dell’Accademia Filarmonica di Verona, la più antica d’Italia e d’Europa. Nata nel 1543, l’anno in cui Copernico sposta il sole al centro dell’universo, dalla passione di un gruppo di strumentisti amatoriali decisi a far musica insieme. 
«Tutti dilettanti, tutti appartenenti all’alto ceto, nobili e ricchi mercanti. Così attesta il documento che sigla il sodalizio tra la Filarmonica veronese e quella dell’Incatenata» racconta Michele Magnabosco, bibliotecario conservatore dell’attuale Accademia.
Un club privato di musicofili «dediti al sapere, alla pratica della musica e del canto». «Dicitura che la dice lunga sulla preminenza di una politica culturale in una città dove, non essendoci una corte come principesca, vigeva un’oligarchia patrizia che delle lettere e dell’arte dei suoni aveva fatto il suo centro di piacere e di potere. Una piccola corte musicale presto diventata famosa in tutta Europa».
Poi, 1630, arriva la peste. L’Accademia chiude i battenti. Per riaprirli bisognerà aspettare gli inizi del ‘700, quando, sotto l’impulso dell’umanista Scipione Maffei, rinasce con a fianco un suo teatro, il Filarmonico, progettato da Bibiena e inaugurato nel 1732 da «La fida ninfa» di Vivaldi. «Per l’Accademia l’inizio di un nuovo corso, con artisti professionisti. I nobili non si esibiscono più, prendono posto nei loro palchi per ascoltare il meglio di musici e cantanti di spicco». Ma come è destino dei teatri, pochi anni dopo, 1749, il Filarmonico brucia. Un fornelletto acceso in un palco, dove oltre ad ascoltare musica, si mangiava, lo manda in fumo. Nessuno si perse d’animo. I consociati si autotassarono e cinque anni dopo, 1754, il teatro era bello e pronto. Più funzionale, i palchi disposti per una migliore visibilità, la Sala Maffeiana sopravvissuta all’incendio come ridotto. Lì il 5 gennaio 1760 si esibirà al piano Mozart, subito proclamato «maestro onorario» dagli Accademici. «Poi, 1811, l’Accademia cambia statuto, diventa la «società di palchettisti»: 52 accademici eletti tra i grandi nomi della città. Come i Giusti del Giardino, iscritti nell’album dal 1632. E in quella data, sotto il dominio austriaco, s’inaugura il Palco Reale, spazio di rappresentanza per l’imperatore e i delegati dei Paesi diretti al Congresso di Vienna». La saga non è finita. I bombardamenti degli alleati del 1945 mandano di nuovo in macerie il teatro. A fine guerra la ricostruzione, su progetto dell’architetto veronese Vittorio Filippini, ispirato all’originale struttura bibienesca. A tenerlo a battesimo nel 1975 il «Falstaff» di Salieri.
Ente di diritto privato, senza finanziamenti pubblici, l’Accademia veronese continua a vivere grazie alle sovvenzioni dei suoi accademici. «Un atto di coscienza culturale nei confronti della città. Ma anche un biglietto da visita importante. Per entrare nel ristretto novero le trattative sono lunghe, le transazioni talora vanno alle stelle». Il potere della musica e la musica del potere continuano