Corriere della Sera, 29 agosto 2025
Biografia di Anna Mazzamauro (raccontata da lei stessa)
A nna Mazzamauro, ancora oggi la gente la chiama «Signorina Silvani» per strada?
«Per strada, al mercato, alle Poste. Se potessi, la strozzerei quella signorina Silvani».
Però è stato il personaggio che le ha regalato la fama.
«Sì, ma è diventato anche una gabbia. Da allora quale regista avrebbe più potuto affidarmi il ruolo, poniamo, di Medea? Ma se lo immagina, io che insulto Giasone? La gente pensa immediatamente alla Silvani che dice “merdaccia”».
Una gabbia meravigliosa, però. Uno dei personaggi più amati della saga di Fantozzi, saga che compie mezzo secolo (il primo film è del 1975).
«E pensare che il primo provino lo feci per il ruolo della Pina. Non sapevo che stavano cercando una “cessa”, così mi vestii di rosso, abito attillato. Allora fu proprio Paolo che suggerì al regista, Luciano Salce: “Questa qui è piena di difetti, ma li porta sui tacchi”. E mi presero come oggetto del desiderio fantozziano. Una che sa essere santa e dimonia al tempo stesso, una donna tragica e per questo comica».
Paolo, ovviamente, è Villaggio.
«Non eravamo amici se è quello che vuole chiedermi. E forse proprio per questo ci siamo stimati a vicenda. Sia lui che io abbiamo conservato il disincanto degli attori: mica dobbiamo essere per forza simpatici».
Dopo sei film insieme...
«E oggi ho il rimpianto di non avergli detto tante cose, belle e brutte. Ma d’altra parte fu lui stesso a mettere un paletto. Un giorno venne nella mia roulotte per ripassare la parte e io azzardai: “Paolo, ma perché io e te non ci vediamo mai al di fuori del set?”. E lui rispose: “Perché io frequento solo gente ricca e famosa”. Certo, penso che sia stata una delle sue tante provocazioni, ma mica poi tanto».
Era cinico?
«Abbastanza. Però fu lui a farmi il più bel complimento mai ricevuto».
Quale?
«Andammo in tv insieme. Davanti alle telecamere fu durissimo. Quando la conduttrice, Barbara D’Urso, gli chiese come mi aveva scelta, lui rispose: “Come si sceglie un cesso”. Io allora ribattei, altrettanto cattiva: “Ma con quel cesso hai guadagnato molto”. Poi, però, quando uscimmo dallo studio televisivo si avvicinò, mi guardò con tenerezza e mi disse: “Anna, sei bellissima”».
Voleva dire tante cose.
«Quel “bellissima” non era per l’aspetto fisico, ma era per la bravura, per la mia capacità di stare nel personaggio, per il mio amore viscerale per il teatro, per il mio saper ridere delle cose, anche di quelle terribili. Lui aveva capito che io sul palcoscenico o sul set divento un’altra: mi sento sensuale, libera, sfrenata».
Lei compirà 87 anni il primo dicembre prossimo. È ancora innamorata del teatro?
«Intanto sto ancora portando in giro per l’Italia uno spettacolo dedicato a Fantozzi dal titolo Com’è ancora umano lei. Ma soprattutto a fine novembre debutto al teatro di Tor Bella Monaca con Brava, bravissima, anche meno. Produttore Nicola Canonico, orchestra Sasà Calabrese, musiche originali di Emanuele Belloni e sul palco anche Sonia Tabacco. Tra i monologhi ce n’è uno in cui faccio a pezzi la Silvani».
Questo personaggio è davvero una persecuzione.
«Sì, è la mia gioia e la mia noia, perché nessun regista in seguito ha avuto il coraggio di osare e di scardinare questa gabbia. Solo Francesca Archibugi lo ha fatto, e la ringrazio, anche se poi ho rifiutato».
Che cosa le ha proposto?
«Una piccola parte: dovevo interpretare una monaca anziana e gobba, ma ho detto di no».
Perché?
«Perché avevo solo tre battute. Vede, noi attori siamo davvero come ci si immagina: duri, vanitosi, cattivi qualche volta. E recitiamo, recitiamo sempre. Io sono certa che gran parte del cinismo di Villaggio fosse dovuto alla sua inesauribile tendenza alla recitazione. Però posso raccontarle una cosa bella?».
Certo.
«Al Pacino ha scelto una mia foto per uno dei suoi film in lavorazione e le dirò di più: ho fatto anche il secondo provino. Vi dico solo che faccio la parte di una mamma calabrese in cucina. Vediamo come andrà a finire, di più non posso dire».
Be’, mica male.
«Gli attori sono pieni di paure: prima di andare in scena, se attendono la telefonata di un regista, se devono essere pagati. Io che sono abituata ad assegni fasulli oggi voglio ringraziare Nicola Canonico perché è uno per bene».
Non è andata alla festa per i cinquant’anni dei film di Fantozzi, a Roma.
«No, ma penso che la mia assenza si sia sentita».
C’era Mariangela, cioè Plinio Fernando.
«Plinio, che caro. All’inizio mi chiamava tutti i giorni, poi ci siamo persi di vista. Qualche volta rimaneva con gli abiti da bambina tra una ripresa e l’altra solo per farsi coccolare».
E il ragionier Filini?
«È stato uno dei miei amici più cari. Gigi Reder, che io chiamavo Gigi Rider, era la disperazione dei truccatori: prima di girare una scena io e lui ridevamo come matti e il trucco si scioglieva sempre».
La signorina Silvani finisce per sposare il geometra Calboni.
«Il compianto Giuseppe Anatrelli. Paradossalmente era più serio di Gigi, ma quando mi abbracciava mi scappava da ridere».
La signora Fantozzi.
«Senza nulla togliere a Milena (Vukotic, ndr), per me la vera signora Fantozzi è stata la prima, Liù Bosisio. Lei, opportunamente truccata, non era solo brutta ma era anche triste, deprimente. Che diamine, Milena era carina, dolce, gentile. Qualche volta in scena mi chiedevo: “Ma perché questo poveraccio dovrebbe innamorarsi di me quando ha lei in casa”?»
Con Vukotic siete amiche?
«No, anche perché in scena eravamo rivali. E non scherzo quando dico che noi attori veri crediamo ai personaggi che interpretiamo».
Però avete trascorso tanto tempo assieme.
«Con Milena ci siamo parlate per la prima volta poco tempo fa, quando siamo andate insieme in una trasmissione. Prima non ci eravamo rivolte mai la parola. E non perché ci fossero attriti, anzi. È che il cinema ti illude. Ti fa credere che quella sia la vita vera e così trascorri anni e anni sul set con qualcuno senza mai conoscerlo davvero. Che tristezza. Che bellezza».
Lei sarà ospite, il 4 settembre, del Carpi Film Fest. Parlerà anche qui di Fantozzi?
«È il mio dolceamaro destino. Non nego che mi abbia consacrato come uno dei personaggi del cinema italiano, però non tutti sanno che c’è stata una Mazzamauro prima della Silvani».
Racconti.
«Be’, ho fatto Cyrano de Bergerac, nel senso che ho interpretato il protagonista: basta vedermi di profilo, guardi che naso».
Ma ha fatto anche la tv.
«Con Lino Banfi ho fatto tredici puntate di Finalmente domenica, negli Anni Settanta. Eravamo una coppia che, parole della regista, doveva “aver letto qualche libro ma poi se lo doveva dimenticare”. Bene, ma oggi quando parla della sua carriera Lino parla sempre e solo della Fenech. Capisco che la Fenech sia bella, ma ci sono stata anche io».
Un grande amore?
«Il teatro. Per la mia bara dovranno usare le tavole di legno del palcoscenico».
Però un amore ci deve essere stato.
«Anche perché ho una figlia, Guendalina, la mia vita. Ho avuto un uomo, certo, che mi è rimasto accanto per venticinque anni e poi non ce l’ha fatta più».
Cioè?
«È morto».
E il primo amore?
«Ricordo il primo spettacolo in palcoscenico, ma non il primo amore».
Non ci credo.
«Aspetti, ora ricordo: era uno di quegli uomini “drammatici”. Un bel giorno allontanandosi col suo motorino, mi urlò: “Anna, ti amo ma non ti posso amare”».
E lei?
«Misi le mani sui fianchi e gli urlai di rimando: “Ma vedi d’annattene aff....».