Il Post, 28 agosto 2025
Che sito è Phica.net, dove molte donne hanno trovato le loro foto
Da giovedì, chi visita il sito web www.phica.eu – noto più che altro con il nome di Phica.net – trova soltanto un messaggio in cui gli amministratori, da sempre anonimi, ne annunciano la chiusura. Fino a poco prima, allo stesso indirizzo si poteva trovare quello che da anni era diventato uno spazio in cui condividere foto di donne conosciute e sconosciute, in situazioni intime o meno, senza il loro consenso, al fine di commentarle insieme ad altri uomini in modo spesso degradante e violento.
In teoria, Phica era nato per essere un sito per adulti dedicato alla pornografia amatoriale. Il sito conteneva una sezione privata, accessibile soltanto agli utenti registrati, in cui delle persone “certificate”, di cui era stata confermata l’identità e la maggiore età, potevano caricare foto e video porno che le ritraevano. Chi produce questi contenuti spesso lo fa perché affascinato o eccitato dall’idea di essere guardato da sconosciuti durante una performance sessuale, e a volte per guadagnarci qualcosa. È una pratica non convenzionale che richiede il consenso di tutte le persone coinvolte, ma non è illegale.
Da anni, però, Phica era diventato anche un’altra cosa: uno spazio in cui migliaia di uomini pubblicavano senza consenso le foto di mogli, fidanzate, partner, ex, sorelle, figlie e donne sconosciute viste in spiaggia o in palestra. In alcuni casi, le foto erano state scattate dagli utenti all’insaputa delle donne. In molti altri, gli utenti condividevano screenshot di contenuti pubblicati dalle donne sui social network. Anche per questo, su Phica si trovavano tantissime foto di celebrità, giornaliste, politiche e influencer, oltre che di donne del tutto comuni, divise in base all’età, alla provenienza geografica e al loro rapporto personale con gli utenti del sito. Talvolta, le foto trovate sui social network venivano anche modificate con software basati sull’intelligenza artificiale in modo che le donne apparissero “denudate”.
Il forum serviva in larga parte a commentare le foto insieme agli altri uomini, quasi sempre in modo molto esplicito, umiliante e aggressivo: le donne erano spesso e volentieri definite «troie», «cagne», «puttane» che «hanno chiaramente voglia di sesso». Si parlava tranquillamente di volerle «inculare a sangue». Alcuni scrivevano: «se la incontrassi per strada, non penso riuscirei a trattenermi».
Capitava di frequente, poi, che gli utenti organizzassero dei cosiddetti “cum tribute”, chiedendo agli altri di pubblicare foto o video che dimostrassero che si erano masturbati sulla foto di una specifica donna (in molti casi la moglie o la fidanzata di qualcuno). In altri casi, sul forum di Phica si organizzavano “scambi di foto”: una fidanzata per una fidanzata, una sorella per una sorella, una minorenne per una minorenne. Gli scambi avvenivano poi, normalmente, su Telegram, piattaforma di messaggistica che da anni si rifiuta sistematicamente di collaborare con governi e forze dell’ordine per rimuovere contenuti dannosi e illegali.
Il sito esisteva dal 2005 e fino a qualche giorno fa aveva almeno 800mila iscritti. Negli anni sui social network e su YouTube si era parlato a più riprese di quel che succedeva al suo interno, ma non c’erano mai state grandi conseguenze. Al momento della registrazione, poi, i gestori avevano scelto il servizio di anonimizzazione GoDaddy, che permette di nascondere l’identità di chi possiede un sito: l’unica cosa che si sa, al momento, è che il servizio viene gestito dall’estero, pur essendo frequentato quasi esclusivamente da italiani.
Dal 2023 sulla piattaforma di raccolta firme Change.org esisteva una petizione, creata dalla siciliana Mary Galati, che ne chiedeva la chiusura e che sottolineava come il sito avesse continuato a esistere senza problemi nonostante le tante denunce sporte contro utenti e amministratori alla polizia postale. Galati ha raccontato di aver scoperto di essere sul sito dopo essere stata avvisata da una ragazza che la conosceva di vista.
«Io, che non ho mai inviato foto intime a nessuno, non potevo credere a quello che vedevo. Non capivo come fosse possibile», aveva detto a L’Espresso. «Per accedere bisogna dimostrare di essere un uomo, fornendo dei documenti. Io ho usato quelli di mio padre e mi sono iscritta». Al suo interno ha detto di aver trovato «l’inferno»: «mariti che condividevano le foto delle mogli, uomini che esponevano le loro compagne o le loro parenti. Addirittura, padri che caricavano foto delle proprie figlie piccolissime, bambine di quattro o cinque anni sessualizzate. Foto dei piedi, del corpo, accompagnate da commenti sessisti e pedofili».
Negli ultimi due anni, la petizione aveva raggiunto poco più di 3mila firme: la situazione è cambiata soltanto negli ultimi giorni, nel contesto della grande attenzione mediatica cresciuta attorno a un gruppo Facebook chiamato “Mia Moglie”, che aveva quasi 32mila membri ed era dedicato alla condivisione di foto private delle mogli e delle partner degli iscritti.
A differenziare Phica da gruppi come “Mia Moglie” era soprattutto il fatto che, su Phica, molti contenuti provenissero anche dai profili social di donne del tutto sconosciute, e che gli utenti decidessero di sessualizzare anche foto che non avevano, di per sé, nulla di intimo, magari zoomando sui piedi o sulle tette delle persone in questione. I commenti tendevano anche a essere più violenti.
Dopo aver letto di “Mia Moglie”, il 26 agosto Galati ha cominciato nuovamente a far circolare la petizione: in due giorni ha superato le 155mila firme. Al contempo, migliaia di persone hanno cominciato a visitare il sito, cercando di riconoscere le donne che conoscevano in modo da poterle avvisare: tra di loro c’erano anche donne molto famose, tra cui la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, l’influencer Chiara Ferragni, la figlia diciottenne di Francesco Totti Chanel e le cantanti Paola e Chiara. Alcune, come le politiche Alessandra Moretti, Valeria Campagna, Lia Quartapelle e Alessia Morani, hanno sporto denuncia e ne hanno parlato pubblicamente.
Da quando ha scoperto dell’esistenza di Phica, Galati ha frequentato regolarmente il sito per cercare di riconoscere le ragazze condivise nel forum e avvisarle del fatto che le loro foto erano state condivise senza il loro consenso. «La prima risposta è quasi sempre una paura estrema nei confronti del pensiero degli altri. Alcune sono scoppiate a piangere. Poi, tendenzialmente, parte la rabbia, perché vorresti fare qualcosa ma non c’è quasi nulla da fare, dato che le forze dell’ordine non aiutano».
Nel comunicato che annuncia la chiusura del sito, gli amministratori hanno scritto che il sito era nato come «piattaforma di discussione e condivisione personale, con uno spazio dedicato a chi desiderava certificarsi e condividere i propri contenuti in un ambiente sicuro», ma hanno riconosciuto di non essere riusciti a «bloccare in tempo tutti quei comportamenti tossici che hanno spinto Phica a diventare, agli occhi di molti, un posto dal quale distanziarsi piuttosto che sentirsi orgogliosi di farne parte».
Nel comunicato si legge anche che «violenza di qualsiasi tipo», «minorenni o contenuti pedopornografici» e «offese verso donne, linguaggi da branco e atteggiamenti denigratori» sono sempre stati vietati, bloccati e denunciati. In un post di pochi giorni fa, uno degli amministratori diceva che il sito «collabora costantemente con la Postale» e che «chi commette un’illegalità su Phica viene perseguito». In Italia, la condivisione non consensuale di materiale intimo è un reato che può essere punito anche con 6 anni di carcere.
Simone Fontana, giornalista che per anni si è occupato del sito, dice che nella sua esperienza «le cose sono un po’ più complesse di così». «Su Phica erano presenti tutte le cose che nel messaggio finale gli amministratori giurano di aver combattuto: c’erano foto di minorenni, contenuti intimi condivisi senza il consenso del partner, linguaggio da branco. È impossibile dire se si sia trattata di incapacità nel moderare o se quello fosse lo scopo originale che teneva insieme gli utenti. Ma Phica è stato per anni uno dei principali canali di diffusione di materiale e pratiche misogine, questo è un fatto».
Galati, per esempio, racconta che gli amministratori del sito non hanno mai risposto alle donne che chiedevano la rimozione delle loro foto da Phica, e che hanno cominciato a pubblicizzare un indirizzo email che le vittime potevano usare per chiedere la rimozione di questi contenuti soltanto due giorni fa, quando la petizione su Change.org ha cominciato ad attirare molta attenzione. «Quel sito viveva sul calpestare la dignità delle donne. Più le insultavano, più godevano e più ricevevano “mi piace”, più ricevevano riconoscimento tra gli altri frequentatori del sito», dice al Post. «Per molto tempo sotto a una mia foto c’è stato un commento che diceva: “Peccato che tu non sia della mia zona, altrimenti ti avrei scopata prima da viva e poi da morta”. Prima di questo boom mediatico non mi aveva mai risposto nessuno, e io di mail ne avevo mandate tante».
Silvia Semenzin, una delle massime esperte di condivisione non consensuale di materiali intimi in Italia, sottolinea però che è improbabile che la chiusura di Phica porti a una riduzione di comportamenti di questo tipo online. «Molti di loro accoglieranno anzi con risentimento il fatto che il loro spazio sia stato chiuso», spiega. «Tra chi frequenta questi gruppi non c’è assolutamente alcuna concezione dell’importanza del consenso: è considerato un concetto secondario, ampiamente negoziabile».