il Fatto Quotidiano, 28 agosto 2025
Solženicyn, l’eterno provocatore russo dal Gulag al Nobel
leksandr Solženicyn, chi era costui? Il rivoluzionario che rivelò il gelido nocciolo della Rivoluzione sovietica, che trovò il marcio anche nel sistema antagonista occidentale. Un russo fin nel midollo votato solo alla spiritualità dopo aver provato l’entusiasmo per il più grande esperimento sociale dell’umanità, aver pagato con il Gulag il suo disincanto, aver vinto il Nobel per la Letteratura, aver vissuto – e criticato – l’Occidente ed essersi riappacificato con la sua Madre Russia dove è tornato ed è morto. Tante vite che ne riassumono una: un cronista totale, che ha vissuto ciò che ha raccontato fino allo stremo, che ne riconosce solo uno superiore: Varlam Šalamov, che l’Arcipelago dei Gulag sovietici ha provato nel periodo peggiore di tutti: gli anni 30, quello dei grandi processi staliniani, nel luogo peggiore di tutti: la Kolyma, all’estremo oriente siberiano, affacciata sul Pacifico, dall’altra parte dell’Alaska…
Le prime pagine del libro (Arcipelago Gulag, ndr) che nessuno in Italia ha veramente letto – per motivi “politici”, solo per pigrizia intellettuale pur considerandolo manifesto anticomunista, o perché è in effetti un “mattone” – ma che per qualche decennio in molti hanno avuto sulla bocca, fino a passare nel dimenticatoio letterario, sono intrise del sarcasmo amaro che scaturisce dalla fatalità cronica dei russi, l’arte della sconfinata ironia sviluppata per sopravvivere nel gelido Paese con “mille anni di storia e nemmeno un giorno di libertà” (proverbio russo). Cronache in forma di racconto nel solco della grande letteratura russa, un Dostoevskij certo minore, ma altrettanto vivido ed efficace narratore della natura umana quando esposta alle privazioni, soprattutto della libertà.
Un esempio su tutti: “L’anno millenovecentoquarantanove ci capitò sotto gli occhi, a me e alcuni amici, una curiosa nota nella rivista Natura dell’Accademia delle Scienze. Vi si diceva, in minuti caratteri, che in riva al fiume Kolyma, durante gli scavi, era stato trovato uno strato sotterraneo di ghiaccio, antico torrente gelato, e racchiusi in esso esemplari pure congelati di fauna fossile (di qualche decina di millenni fa). Fossero pesci o tritoni si erano conservati tanto freschi, comunicava il dotto corrispondente, che i presenti, spaccato il ghiaccio, li mangiarono sul posto, volentieri. Probabilmente i pochi lettori della rivista si saranno meravigliati quanto lungamente il pesce può conservarsi nel ghiaccio. Ma ben pochi avranno capito il significato vero, titanico, dell’incauta nota. Noi lo capimmo subito. Vedevamo chiaramente tutta la scena nei suoi minuti particolari: come i presenti spaccavano con accanita fretta il ghiaccio; come calpestando i sommi interessi dell’ittiologia e respingendo l’un l’altro a gomitate, si strappavano pezzi di pesce millenario, lo trascinavano al falò, lo sgelavano e si saziavano. Lo capimmo perché eravamo tra quei presenti, tra quella possente razza di detenuti, unica al mondo, che sola poteva mangiare volentieri un tritone”. Millenario.
La parabola di Solženicyn: da ufficiale sovietico, decorato con l’ordine della Stella rossa per il suo servizio sul fronte antinazista, all’arresto prima della fine della “Grande guerra patriottica” per aver definito, in alcune lettere, a un amico, Stalin “il boss” e il “signore della casa”, fino alla condanna a otto anni di lavori forzati per il famigerato articolo 58 (attività controrivoluzionaria, e contro lo Stato), condanna scontata in varie “isole” siberiane dell’immenso arcipelago concentrazionario continentale dell’Urss. Qui lo scrittore si è dedicato a raccogliere minuziosamente, caparbiamente, instancabilmente storie, nomi, fatti, date in sparuti pezzetti di carta da nascondere a ogni perquisizione, rimessi insieme in un’opera di oltre mille pagine, trafugata all’estero e che nel 1970 gli è valsa il Premio Nobel, dopo che nel 1962 il segretario generale del partito comunista Nikita Krusciov, in funzione di damnatio memoriaedi Stalin, aveva fatto pubblicare il suo romanzo Una giornata di Ivan Denisovic, storia di un relitto umano del Gulag.
Avvelenato e poi espulso dall’Urss nel 1974, Solženicyn visse prima in Germania, poi fu invitato dalle università americane, infine si stabilì in Canada e fu rimpatriato dopo il crollo dell’Unione Sovietica: tornato nella Madre Russia, l’intellettuale divenne un fan di Putin – con il quale, sostenne il politico ed ex agente del Kgb, condivideva la critica alla Rivoluzione russa e anche la visione di una Russia autentica e spirituale – e infine si trasformò in martoriatore delle coscienze russe, e non solo, per la retta via smarrita dalle due contrapposte civiltà. Morto e seppellito con tutti gli onori nel 2008, Solženicyn riposa in un monastero moscovita. Perfetta parabola di un rivoluzionario dell’ideologia umana.