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 2025  agosto 28 Giovedì calendario

La telenovela sulle banche

Ci risiamo. Come ogni estate dacché è in carica il governo Meloni va in onda sui migliori media del Paese, da meeting di prestigio o nei tg e persino da certe assolate piazze di paese, la telenovela del “contributo delle banche” alla manovra. Se non altro, dopo la malaparata dell’anno scorso, quando dovettero ingoiarsi una legge già annunciata, nessuno parla più di tasse sugli extraprofitti. E dire che quelli ci sono ancora: l’anno scorso il mondo del credito ha messo in fila un altro record, registrando utili netti per 46,5 miliardi di euro dopo i 40,7 miliardi del 2023.
Come al solito la cosa è andata così. A Palazzo Chigi, quando il solleone è al suo culmine, cominciano a pensare a prendere qualche soldo alle banche per pagare qualche provvedimento della manovra. Poi arriva Matteo Salvini, che comincia a sparacchiare cose tipo “anche i ricchi piangano” in giro per l’Italia. A quel punto arrivano quelli pro-mercato (sic) di Forza Italia, che s’oppongono strenuamente a provvedimenti dirigisti. In genere finisce che il governo chiede gentilmente alle banche, attraverso l’associazione di settore, l’Abi, se per favore gli fanno una specie di prestito senza interessi che il Paese ha tanto bisogno.
Per ora, però, siamo ancora al leghista che spara e ai berlusconiani pro-mercato (sic) che s’oppongono. Salvini, per dire, ieri era dai ciellini a Rimini e ha buttato lì (di nuovo) che “tutti dovranno fare la loro parte: soggetti economici che l’anno scorso hanno guadagnato 46 miliardi possono dare un contributo alla crescita del Paese”. In attesa dell’ennesima controdichiarazione del pro-mercato (sic) Antonio Tajani, l’intera Forza Italia lotta come una leonessa a difesa di un settore che porta alla holding della famiglia proprietaria del partito – i pro-mercato Berlusconi – due terzi degli utili via Mediolanum: “Forza Italia è tendenzialmente contraria a inasprimenti fiscali. Va evitato il populismo bancario”, ha rinnovato il repertorio ieri il senatore Pierantonio Zanettin, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario.
Alla fine, come l’anno scorso, il Tesoro e Chigi stanno provando a lavorare sulle cosiddette Dta, le imposte differite. Nel 2024, dopo tanto tuonare, finì che le banche accettarono di sospendere per quest’anno e il prossimo l’uso dei crediti d’imposta maturati sui crediti deteriorati, che comunque recupereranno tra 2027 e 2030. In sostanza le banche hanno accettato di pagare un po’ più tasse subito (poco meno di 3,5 miliardi), per pagarne meno poi: in sostanza è un anticipo di liquidità (il vero contributo delle banche nella scorsa manovra, dovuto a un paio di ritocchi fiscali, ammontava a 695 milioni, meno dell’1,5% dei loro utili.
Questi qui sopra sono i numeri forniti dallo stesso governo sul prestito dell’anno scorso: quest’anno si prova a replicare trovando un nuovo accordo con l’Abi sulle Dta, anche se al momento non pare aria. Certo, sempre come l’anno scorso, non mancano gli scalmanati: pare che il viceministro “fiscale” Maurizio Leo (FdI) stia studiando la possibilità di tassare il riacquisto di azioni proprie – il cosiddetto buy back, che piace assai agli azionisti – da parte delle banche. Forse Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia e primo azionista del Montepaschi, dovrà invitare (anche quest’anno) tutti alla calma