La Stampa, 28 agosto 2025
Giorgia la moderata
La famiglia, la persona, il sostegno alla scuola paritaria, il no alla maternità surrogata, la sussidiarietà, ma anche una manovra in difesa del ceto medio, la rivendicazione di un personale “draghismo prima di Draghi”, un Piano Casa in via di elaborazione che echeggia fin dal nome il progetto di Amintore Fanfani, volano del boom nel dopoguerra.Giorgia Meloni ha usato l’occasione del Meeting di Rimini non solo per accarezzare il mondo cattolico (scontato) ma per presentarsi all’Italia moderata come leader credibile e tranquilla (meno scontato). Ha ridotto al minimo le polemiche contro gli avversari e certe battute sarcastiche che sono la forza dei suoi comizi al popolo della destra. Ha archiviato i riferimenti bellicosi del Signore degli Anelli in favore de La Storia Infinita, il vero libro di formazione della sua vecchia comunità, meno paganeggiante e guerresco. Persino sugli sbarchi ha evitato riferimenti divisivi all’Albania o alle Ong per proporsi soprattutto come garante dell’immigrazione legale e di patti con l’Africa fondati sul reciproco rispetto. Un discorso abile che fa capire quale sarà la fase due della premier: approfittare dello slittamento a sinistra del campo largo per portare dalla sua il voto moderato in cerca di casa.La presidente del Consiglio ha aspettato per tre anni che lo spazio del centro fosse dragato dai suoi alleati, Forza Italia e Noi Moderati. Lei era impegnata altrove, e principalmente nella gara con Matteo Salvini sui temi legge e ordine, con un obbiettivo chiaro: tenere nel recinto della destra conservatrice i voti leghisti che nel 2022 erano scivolati verso la Fiamma, un po’ per delusione e un po’ per noia. Quel consenso è ormai acquisito. Ogni tentativo di remuntada del Capitano è fallito. Ma nell’altro quadrante dell’azione politica di maggioranza, il benedetto centro, non tutto è andato come doveva.Nessuno si è addentrato nelle famose “praterie moderate”, laddove pascolano i piccoli greggi di Matteo Renzi, Carlo Calenda, Più Europa e la galassia di mini-sigle collegate, compresi i riformisti del Pd. Nessuno nel centrodestra è stato capace di occuparle e nemmeno di prendersene un pezzetto, anche se le condizioni c’erano. Meloni, a quanto pare, ha deciso di far da sé. Ha sposato la citazione-bandiera del Meeting: nei luoghi abbandonati costruiremo con mattoni nuovi. E ha deciso che i mattoni possono essere i suoi.Frase di riferimento: «Il campo in cui abbiamo dimostrato di voler stare non è quello delle ideologie, delle utopie, di chi vuole modellare la realtà. Il campo che abbiamo scelto è il campo del reale». Traduzione: il pragmatismo sarà la cifra del governo nei due anni che separano dalle Politiche, e nel nome di questo pragmatismo si potrà trovare la leader di FdI con Ursula von der Leyen in Europa e con Donald Trump dall’altra parte dell’oceano, con Matteo Salvini a Palazzo Chigi e con Emmanuel Macron nei vertici dei Volenterosi, insomma ovunque risulti “pratico” stare per consolidare l’immagine di una premiership efficace e circondata dal più generale apprezzamento. Se nella prima fase del suo mandato e nei messaggi al mondo dei suoi elettori Meloni ha coltivato l’immagine dell’underdog circondata da nemici, ora fa l’esatto contrario. Si sveste della grinta ostracizzata dei vecchi tempi. É una signora votabile da tutti.Chi deve preoccuparsi? Il campo largo, innanzitutto. Con Elly Schlein un po’ persa nell’inseguimento di Giuseppe Conte e adesso anche dell’Alleanza Verdi e Sinistra, che al tavolo delle candidature regionali è stata surclassata dai Cinque Stelle e chiede compensazioni e riconoscimento. La “testardaggine unitaria” della leader Pd su quel versante forse è una scelta obbligata. Ma il rischio è evidente: se nel 2022 fu la sinistra a usare il formidabile argomento polemico del “salto nel buio” costituito da un governo delle destre sovraniste, fra un paio d’anni potrebbe succedere il contrario. Potrebbe essere la destra a rivendicare l’alternativa tra un governo stabile, concreto, sostenuto da solide alleanze internazionali, e l’avventura di quelli del reddito di cittadinanza, pro-Pal, Yankee Go Home, wokisti, immigrazionisti, eccetera. Chi sceglieranno i moderati?Ma qualche pensierino preoccupato dovranno farlo anche i centristi della maggioranza che in questi tre anni non sono riusciti ne’ a incrementare il loro consenso ne’ a caratterizzare il loro ruolo di governo in modo preciso. Se la linea espressa al Meeting avrà un seguito, se si rivelerà davvero la strategia per il prossimo biennio, Meloni diventerà un problema anche per chi si è proposto come “contrappeso moderato” a una premiership fortemente caratterizzata a destra, come mediatore del rapporto di Palazzo Chigi con l’Europa, come pompiere degli eccessi sovranisti.Tutti ruoli diventati inutili perché il contrappeso la premier se lo è fatto da sola, e a dar retta agli applausi del Meeting ci è riuscita