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 2025  agosto 28 Giovedì calendario

Kiev brucia il petrolio che paga la guerra dello zar

Bruciare il tesoro di Putin per obbligarlo ad accettare la tregua. L’offensiva dei droni ucraini rivela un disegno strategico: gli attacchi scagliati sugli impianti petroliferi russi mirano a compensare le difficoltà dell’esercito di Kiev, che ora inizia a cedere terreno pure nella regione di Dnipropetrovsk, e convincere il Cremlino a sospendere i combattimenti. Perché è Mosca che presto potrebbe avere l’interesse maggiore a – letteralmente – cessare il fuoco. Dall’inizio di agosto sono andate in fiamme dieci raffinerie, le più grandi del Paese, e gli effetti cominciano a farsi sentire. Il prezzo del carburante sul mercato nazionale ha raggiunto i massimi storici e diverse stazioni di servizio sono già rimaste a secco, soprattutto in Crimea e in Siberia, dove vengono segnalate code di automobilisti alle pompe. Giovedì notte, poi, un altro poi botto ha messo fuori uso l’oleodotto che collega Ryazan alla capitale: sui social sono apparse le immagini della colonna di fumo, senza conferme ufficiali né rivendicazioni ucraine, e si parla di blocco del flusso principale diretto a Mosca. Gli analisti di Reuters ritengono che i bombardamenti abbiano ridotto del 17 per cento capacità di trasformare il greggio in benzina e diesel, in un momento di altissima richiesta: l’ultima vacanza estiva spinge i russi a viaggiare, sommandosi alle necessità dei mezzi agricoli per la raccolta dei cereali e alla domanda per le scorte del riscaldamento invernale.C’è un elemento che pesa sui timori russi: le incursioni si stanno dimostrando più precise e devastanti. I tecnici di Kiev hanno perfezionato i sistemi di guida dei droni, che grazie a motori potenziati trasportano più esplosivo. Nei filmati si vedono gli ordigni che dopo voli di settecento- mille chilometri centrano le strutture più delicate e le demoliscono. Un anno fa bastavano sette-dieci giorni per rimetterle in funzione dopo i raid: ora si stima che le riparazioni richiederanno almeno un mese. Le foto satellitari evidenziano danni pesanti agli impianti di Ryazan, Novokuibyshevsk e Saratov che da soli forniscono il 14 per cento del carburante.Il Cremlino ha poche misure per lenire la crisi. A fine luglio è stato imposto il divieto di esportare benzina e gasolio, una misura che dovrebbe venire prorogata per tutto settembre: secondo la testata online Bellperò il provvedimento blocca la partenza di 50-60 mila tonnellate a settimana, insufficienti per compensare le perdite causate dai droni. Non viene escluso di bandire pure le forniture privilegiate ai Paesi amici o di aumentare le importazioni dalla Bielorussia.Gli ucraini non si limitano a bersagliare le raffinerie, ma stanno prendendo di mira pure le infrastrutture che alimentano le vendite petrolifere all’estero. L’incursione più seria èavvenuta domenica sul Baltico contro l’impianto di liquefazione di Ust-Luga, che consegna venti milioni di tonnellate l’anno. È stata distrutta la torre di frazionamento criogenico, il cuore dell’infrastruttura, e non è chiaro quando l’attività potrà riprendere. Altri raid invece si accaniscono sui depositi più vicini al fronte – come martedì in Crimea – per cercare di ostacolare i movimenti delle truppe.Il Cremlino sta facendo di tutto per contrastare le azioni dei droni: nelle città industriali le antenne dei cellulari vengono spente per dodici ore al giorno, cercando di “accecare” gli apparati di guida dei robot volanti che trovano la rotta grazie ai ripetitori della telefonia mobile. Molti dei velivoli ucraini però dispongono già di navigatori basati sull’intelligenza artificiale, che identificano il profilo del terreno e non temono contromisure. Le batterie contraeree russe sono state rinforzate con squadriglie di elicotteri Hind e Aligator, che pattugliano i cieli per intercettare i piccoli velivoli in vetroresina praticamente invisibili ai radar. Dozzine di missili terra-aria di nuova generazione vengono installati sui semoventi Pantsir.Kiev però negli ultimi giorni ha esibito due modelli di missili cruise, il Flamingo e il Super-Neptune: non sono ancora entrati in azione e possono infliggere danni ancora più gravi, perché muniti di testate esplosive tre volte superiori a quelle dei droni. Come il resto dell’arsenale scagliato contro la Russia, vengono costruiti in patria e permettono al governo Zelensky di ignorare il veto del Pentagono all’uso di armamenti americani.Il grande interrogativo è come reagirà Mosca all’escalation di roghi. Il popolo russo è abituato ai disagi e ha una sopportazione leggendaria ma persino Maksim Kalashnikov, uno degli araldi del nazionalismo, nel suo show televisivo ha denunciato la carenza di carburante. Il Cremlino non ha mai interrotto i bombardamenti di fabbriche e centrali ucraine – ieri sono state colpite quelle di Poltava, lasciando centomila persone senza corrente – : potrebbe rispondere con una prova di forza e concretizzare la rappresaglia dei giganteschi missili Oreshnik, più volte vagheggiata. Putin deve però calibrare con cautela le sue mosse, perché l’amministrazione Trump ha messo sul tavolo dei negoziati una minaccia letale: l’aumento dei dazi all’India per imporle di cessare le importazioni di greggio russo. Da sole le vendite di petrolio a New Dheli generano 90 miliardi di dollari l’anno: la linfa indispensabile per lo sforzo bellico dello zar.