Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  agosto 28 Giovedì calendario

A proposito di La Grazia di Sorrentino

Sorrentino is back! Messo da parte il folclore partenopeo che aveva appesantito Parthenope, il regista torna a fare i conti con i dilemmi morali che da sempre l’hanno appassionato, dove il lato più intimo e privato (qui il ricordo di una moglie morta e, 40 anni prima, fedifraga) si intreccia con le domande sui grandi nodi della vita, qui il diritto alla vita o alla morte. Perché il protagonista di La grazia, che ha inaugurato il concorso della Mostra, è Mariano De Santis (uno straordinario, controllatissimo Toni Servillo), presidente della Repubblica arrivato agli ultimi sei mesi del mandato. Sul suo tavolo, studiati e ristudiati dalla figlia e assistente Dorotea (una magnifica Anna Ferzetti), tre provvedimenti aspettano la sua firma: la legge sull’eutanasia e due domande di grazia. Luminare di diritto penale e uomo politico di lungo corso, il presidente si fa guidare da una parte dalla sua formazione giuridica e dall’altra dalla prudenza democristiana di chi non vuole fare passi falsi. E con la stessa acribia riflette sulle due domande di grazia e sui due richiedenti mentre il rimpianto per la moglie accende anche la gelosia per un tradimento su cui si interroga ancora. Temi che in altri registri avrebbero dato origine a un melodramma in piena regola, magari con tanto di società civile che preme e sbraita, non con La grazia, dove tutto si svolge nelle ovattate stanze presidenziali, a ribadire il valore filosofico e morale delle discussioni in punto di diritto tra padre e figlia. In puro stile sorrentiniano, il film procede per scene conchiuse, ognuna con la sua battuta o la sua domanda, anche a rischio di sembrare apparentemente slegate. Ma è proprio dalla giustapposizione di queste scene che il film e il suo senso prendono forma. Qui – va sottolineato – con un rigore e una efficacia lontani mille miglia da certi compiaciuti effetti che in altri film sembravano destinati solo a strappare l’applauso. E anche l’apparizione di Guè che, dopo aver ricevuto un’onorificenza presidenziale, canta le ultime strofe di Le bimbe piangono e trova una simpatica complicità nello sguardo in macchina con cui si chiude la scena. Sorrentino lavora per accumulo, per contrapposizione (godardianamente?), anche per ellissi, cercando di mettere a fuoco quello che gli sta a cuore da sempre e che qui è al centro del film: la difficoltà di una risposta dirimente sui temi etici che riguardano la libertà delle persone. Ma attenzione: difficoltà sulle risposte non certo sul bisogno di un rigore morale che il film rivendica e collega a un’idea di politica «vecchio stampo». Poi non mancano le «sorrentinate»: il linguaggio irrispettoso dell’amica d’infanzia Coco, il pontefice di colore, il sindaco che «ubbidisce» alla moglie, il rito delle cene «leggere». Ma sono piccoli vezzi che rendono ancor più efficace il discorso sui doveri morali con cui vuol fare i conti i film.