Corriere della Sera, 28 agosto 2025
Gianluigi Nuzzi parte con il suo nuovo programma
G ianluigi Nuzzi, quest’anno, vacanze vere o vacanze però lavorando?
«Il primo settembre debutta Dentro la notizia e il 12 riparte Quarto grado, per cui la mente correva sempre al nuovo programma del pomeriggio di Canale 5. Non ho staccato tutte le spine. Ho fatto solo una settimana in un hotel che è una ex miniera, in Sardegna. Ci si arriva con una strada sterrata e ci sono buona cucina, dune di trenta metri e sei in pace con il mondo. È un posto “risolto”: perché lì non devi dimostrare niente a nessuno, non c’è la gara a chi ha la barca più lunga».
Vacanze in barca, però, ne ha mai fatte?
«Col mio amico Antonello Venditti: tante, a vela. La nostra amicizia è un regalo alla vita. L’ho conosciuto al Salone del Libro di Torino nel 2016, avevo un dibattito e prima di me, c’era lui sul palco: ha cantato Notte prima degli esami e io, che pure non soffro di divismo, ero liquefatto. Finisce, ci incrociamo. Io zitto, e lui: ma tu sei il conduttore di Quarto grado! Non ci siamo più persi».
Che cosa vi unisce?
«Per me, lui è come il Mago di Oz: mi affascina che arrivi spesso alle mie stesse conclusioni, ma da percorsi completamente diversi, emotivi, sensoriali. È un artista in purezza e ha un senso radicale della libertà, soprattutto quella di pensiero».
Altre avventure insieme, non in mare?
«Ricordo un Roma-Milan allo stadio Olimpico. Io sbuffavo perché il Milan perdeva, lui si gira e mi fa: è la prima volta che vedo una partita della Roma non con un romanista. E ci siamo messi a ridere. C’era con noi anche un suo amico cardinale, eravamo andati a prenderlo in Vaticano. In auto, c’erano Venditti, Nuzzi e un cardinale: mi fanno impazzire queste contaminazioni non proprio logiche».
Il cardinale aveva letto i suoi libri sugli scandali in Vaticano?
«Non gliel’ho chiesto, ho mantenuto un ossequioso silenzio. Comunque, entrare all’Olimpico con 70 mila persone che intonano Grazie Roma, che è la canzone scritta da chi sta accanto a te, è pazzesco. E i brani di Venditti non sono canzoni, sono preghiere: “Mi chiamo Gesù e faccio il pescatore del mare e del pesce…”».
Che altro fa con Venditti?
«Scherzi telefonici. Ne abbiamo fatto uno a Fausto Bertinotti strepitoso».
Me lo dica.
«Non posso, altrimenti non posso più rifarlo. Gliene racconto uno con Giuseppe Cruciani: una volta, telefonammo a mezzanotte a Carlo Taormina, allora sottosegretario del governo Berlusconi. Io fingevo di essere un giornalista, parlando uno spagnolo inventato: “en España se habla mucho de la ruptura entre Taormina e Berlusconi…”. E Taormina mi prendeva sul serio: “A me, ‘sto Cavaliere non me convince per niente”. Eravamo piegati in due dal ridere».
Primo scherzo?
«Iniziò tutto al liceo, con Indro Montanelli. Mia sorella maggiore era contrariata per un suo editoriale e io, da una cabina ai gettoni, chiamai il Giornale e, per farmelo passare, feci la voce dell’avvocato Alberto Dall’Ora, che avevo letto essere un suo amico. Mi rispose e dovetti spiegargli che ero invece un lettore. E lui, con pazienza si mise a spiegarmi il suo editoriale».
E da lì nacque l’idea degli scherzi?
«Sì, ma la regola è che lo scherzo è bello se dura poco. Alla fine, mi rivelo sempre. Una volta sola non l’ho fatto, a fine liceo: dovevamo partire in vacanza ma un ragazzo della nostra compagnia temporeggiava perché non sapeva se era stato promosso. Io chiamai la sua scuola fingendomi Roberto Formigoni. Il preside ci cascò e ci diede la conferma: niente esami di riparazione. Risultato: via, tutti in vacanza».
E le vacanze da bambino com’erano?
«Dai nonni in Trentino, in una fattoria dove ho fatto il contadino da zero a 18 anni. Lì aspettavo ogni giorno che mio nonno tornasse in motorino dal paese con la posta: speravo sempre in una lettera per me. Avevo le mie amiche di penna, aspiranti fidanzate per me, ma non per loro, purtroppo».
E le lettere arrivavano?
«A volte profumate, su carta colorata, da ragazze conosciute in colonia. Come quelle di una ragazzina francese di Leers, che mi mandava le sue fotografie».
Ha conosciuto in vacanza anche la sua compagna Valentina Fontana?
«A Milano e, come dice lei, l’ho presa per sfinimento».
Quindi, un lungo corteggiamento?
«Più che di corteggiamento, parlerei di assedio».
Cosa l’ha spinta a insistere così tanto?
«Quando fai certe cose non sai perché le fai. Non c’era niente di razionale, c’era il sacro fuoco della vita. Stiamo insieme, in prova, da vent’anni. Penso sia il giusto approccio: siamo stati in prova convivendo; poi con un figlio; ora, siamo in prova con due figli».
Se le chiedo di un momento incredibile della sua vita?
«Quando a Milano incontrai Michail Gorbaciov. Avevo vent’anni, camminava in centro con la sua scorta. Infilai la mano nel soprabito per prendere una sigaretta e, in un secondo, una guardia del corpo mi immobilizzò, pensando a un’arma. Ricordo gli occhi di Gorbaciov: grigio-gialli, gelidi. Poi, mi ritrovai imbucato col mio capo di Mondadori al Castello Sforzesco, dove Gorbaciov parlava con industriali, politici: tutti coi capelli bianchi o senza capelli. Io ero l’unico coi capelli castani: mi sentivo una pulce».
Un momento da togliere il fiato?
«Quando lessi gli appunti riservati di Benedetto XVI sugli scandali del Vaticano. Me li passò il suo maggiordomo, Paolo Gabriele, che mi guardò e sorrise. Da lì nacque il mio libro Sua Santità».
Il pontificato di Leone XIV le darà materiale per l’ottavo libro?
«Io spero di no. Quando ho iniziato con Vaticano Spa, nessuno scriveva di scandali vaticani. Io sono stato sei mesi in classifica e ho avuto una solo recensione. Quando Gad Lerner mi invitò in tv per parlarne, mi sembrò talmente incredibile che somatizzai e mi venne 40 di febbre. Ma un giornalista deve fare dei punti e a capo e io ho venduto libri in 15 Paesi, ho subito un processo, le mie fonti sono state arrestate, è stata un’avventura intensa, però di Vaticano ho scritto abbastanza».
Un ricordo assurdo da scrittore di successo?
«A Salisburgo, ospite del mio editore tedesco Dietrich Mateschitz, l’inventore della Red Bull. Mi offrì il suo aereo privato per tornare a Milano. Raggiungo il pilota e chiedo a che ora si parte. E lui, come fossi un extraterrestre: deve essere lei a dirci a che ora vuole partire. Prima figuraccia. Quindi, atterro allo scalo voli privati e altra scena comica… Trovo una limousine ad aspettarmi e non ero abituato. L’autista vuole portarmi a casa e io: faccia così, mi porti a Linate. E lui: ma come dottore, deve già ripartire? La verità è che avevo lasciato il mio vespino a Linate mi imbarazzava dirlo».
Un ricordo assurdo da giornalista?
«Quando portai al direttore Vittorio Feltri delle intercettazioni del presidente Oscar Luigi Scalfaro in tema di banche. Uno scoop enorme. Feltri mi convoca. Pensavo per complimentarsi e invece mi disse: “Domani, ci arrestano. Io ho già scelto: andrò nel carcere di Lodi, lì si sta decentemente. Informati anche tu su dove vorresti andare”. Per fortuna, non ci arrestarono».
Un momento di paura vera?
«Nel ’97, durante la guerra civile in Albania. A un posto di blocco clandestino, uno mi mise la canna di una pistola in bocca. Sempre lì, dall’albergo, chiamai mamma e fuori cominciarono a sentirsi i kalashnikov. Sparai la prima cavolata che mi venne in mente: c’è la festa nazionale, sono i fuochi d’artificio».
Altre sparatorie?
«Una divertente. Per uno scoop che avevo fatto, senza saperlo, ero pedinato dalla Guardia di finanza. Vado a prendere un caffè con Maurizio Belpietro che aveva la scorta e loro si accorgono che ero seguito. Noi due entriamo nel bar e la sua scorta e i miei pedinatori si scontrano: chi siete? Polizia, carabinieri, forestale… Succede un Far West, ma noi non ci siamo accorti di niente. Io l’ho scoperto poi dai verbali».
A Dentro la notizia si occuperà di cronaca, attualità ma anche di cronaca rosa?
«Vorrei dare una certezza al mio pubblico: che, se oggi c’è una notizia, da noi la trovi e puoi dire “vediamo Nuzzi come la racconta”. Poi, se ci saranno fatti di costume o di società, li affronteremo, cercando una chiave positiva. Vorrei raccontare la bellezza del bene contrapposta alla banalità del male».