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 2025  agosto 28 Giovedì calendario

La battaglia di Modi, che tiene testa a Trump

Narendra Modi va in Cina. Mancava da sette anni: è una sorpresa che Donald Trump accoglie probabilmente come un calcio negli stinchi ma per lui e per l’America è qualcosa di peggio. I rapporti del primo ministro indiano con il presidente cinese Xi Jinping non sono mai stati molto buoni ma all’improvviso sembrano diventati, se non stretti, almeno cordiali. Il premier indiano sarà in Cina a fine mese, nella tana del grande avversario dell’America. All’improvviso, Modi sembra l’anti-Trump che molti nel mondo volevano vedere. Dopo più di vent’anni di riavvicinamento tra Stati Uniti e India, il governo di Delhi reagisce ai dazi del 50% americani, giura che non prenderà ordini da Washington e intanto va a trovare la bestia nera dei politici Usa, il leader del partito Comunista Cinese. 
È il duello tra Modi e Trump sugli schermi del mondo. Un po’ come quelli della presidente della Svizzera Karin Keller-Sutter e del premier del Canada Mark Carney, ma con una portata economica e geopolitica molto maggiore. È anche scontro tra India e America: il primo ministro indiano è infatti una specie di messia per i suoi seguaci: carisma, nazionalismo indù, spinta per la crescita economica, sovvenzioni ai contadini, spietatezza con gli avversari politici. Dietro di lui, tra l’altro, oggi c’è l’India tutta: nessuno, partiti di opposizione e media, vuole sembrare meno nazionalista del primo ministro nello scontro con Trump. Per Modi è una situazione rischiosa, minacciosa per l’economia, ma anche l’opportunità per rilanciare la sua immagine e i suoi obiettivi politici dopo che nel 2024, quando ha guadagnato il terzo mandato, alle urne è andato molto meno bene di quanto si aspettasse. 
Narendra Damodardas Modi, nato nel 1950 in un piccolo villaggio del Gujarat, è figlio di un venditore di tè e di una casalinga, terzo di sei figli, famiglia povera, bassa nel sistema delle caste indiane. Casa senza elettricità, da giovanissimo passò i giorni assieme al padre alla stazione dove vendevano chai ai passeggeri e nello scantinato nel quale mescolavano olio per macchine. Un chaiwalla, ama raccontare di sé stesso: il ragazzo che urla “chai, chai, chai”, tè. Orgoglioso delle origini che sa usare come ogni bravo populista. A scuola era bravo ma, soprattutto, era più che ambizioso: nelle performance teatrali non recitava se non aveva il ruolo da protagonista. Come oggi. Già a otto anni, si avvicinò alla Rss, un’organizzazione paramilitare induista di destra, estremamente nazionalista con una particolare propensione a non sopportare i musulmani. Identità indù sopra a tutto. La Rss, organizzazione con un’articolata e influente presenza nel Paese, soprattutto nel Nord, è ancora oggi la base che lo accompagna nelle lotte di potere e nelle scelte politiche. 
Una vita pienamente indiana sin da giovanissimo. A 13 anni la famiglia gli organizza un matrimonio con una ragazza del villaggio. Non andrà mai a vivere con lei, nemmeno quando lascia la casa dei genitori. Per lungo tempo, ha tenuto nascosto il matrimonio: dare l’immagine di asceta, o quasi asceta, che rinuncia agli aspetti mondani della vita è stato fondamentale nella sua carriera politica in un Paese fortemente religioso. Cresce nei ranghi della Rss e prima dei quarant’anni entra nel Bjp, il partito che scalerà fino alla vetta, in opposizione dura al Congresso della dinastia Nehru-Gandhi che ha dominato la scena politica indiana per decenni. 
A inizio secolo diventa chief-minister del suo Stato, il Gujarat, e nel 2002 assisterà, si dice senza muovere un dito, agli scontri tra indù e musulmani nei quali più di mille persone verranno uccise, almeno 800 di religione islamica. Rimane a guidare il Gujarat, che modernizza e rende attraente per gli investimenti, per una dozzina d’anni. Poi, il salto nella politica nazionale: nel 2014, candidato per il Bjp, vince le elezioni federali e diventa primo ministro dell’India. Verrà riconfermato nel 2019 e nel 2024 (in quest’ultima tornata elettorale con un’inaspettata perdita di consensi che lo costringerà a creare un governo di coalizione e gli farà sapere che nel Paese la democrazia è viva e che nessun superman ha la strada spianata). 
Modi è insomma uomo che sa affrontare le difficoltà e si sa destreggiare tra le sfide più difficili. Come gran parte degli indiani viene dalla povertà, come un miliardo di connazionali è pio e devoto alle divinità induiste. Il suo Bjp sta contribuendo in misura sostanziale a cambiare le caratteristiche della democrazia indiana: più divisioni, più settarismo, opposizione alle comunità musulmane e cristiane, meno secolarismo. E una forte proiezione internazionale che esalta il nazionalismo indiano. Oggi è di fronte a quello che potrebbe essere il test della sua vita politica: il duello con l’americano che si sente più nazionalista di lui e gli offre la chance di essere incoronato come colui che ha battuto Trump. Forse con una mano da Xi Jinping.