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 2025  agosto 28 Giovedì calendario

La Meloni si sta democristianizzando. Ma per fermare il declino serve fare di più

Non c’è niente di meglio del Meeting di Rimini, per un premier alla ripresa dopo le vacanze. È come l’Us Open per Sinner, o la prima a San Siro per la ThuLa: dà la carica. 
E infatti la standing ovation che ha accolto Giorgia Meloni, portandola sull’orlo delle lacrime di commozione, l’ha proiettata nel Pantheon dei beniamini di Cl, da Andreotti a Berlusconi a Draghi. Comunione e Liberazione non sarà forse più in grado di mandare al Giubileo tanti giovani come i Neocatecumenali, ma il vortice di folla dei ragazzi del Meeting è ancora qualcosa che dà i brividi. 
D’altra parte, la ex ragazza di Colle Oppio sa ormai toccare le corde giuste per esibire uno standing «presidenziale». Nella sua descrizione dei fatti del mondo è oggi difficile trovare una discontinuità con la tradizione storica del nostro Paese: filo-americano sì ma europeista, difensore del diritto a esistere di Israele sì ma anche vicino ai palestinesi, amante della pace sì ma fedele alla Nato, che è un’alleanza militare. E infatti il piatto forte del discorso di Rimini è stata la politica estera, l’habitat che a sorpresa si è rivelato il più adatto a questa giovane donna fino a tre anni fa a digiuno di ogni esperienza internazionale. Parole dure sui massacri di Israele. Parole dure sulla volontà di potenza e di rapina della Russia. Parole dure su una Europa che deve fare di più, a Gaza e in Ucraina, «come ha detto Draghi».
Possiamo parlare allora di un’ormai compiuta democristianizzazione di «Mi-chiamo-Giorgia-sono-una-madre-sono-cristiana»? È dunque avvenuta la trasformazione della crisalide di una destra populista in una donna di governo sempre più vicina ai Popolari europei? La domanda è di un certo interesse, anche alla luce della situazione francese. Se si torna a votare a Parigi, Marine Le Pen proverà infatti a presentarsi come una Melonì, nel tentativo di rassicurare chi teme una deriva estremista nel cuore dell’Europa.
Vedremo. Intanto all’elettorato popolare e cattolico la premier ha fatto due offerte esplicite. La prima è il «piano casa» che lei e Salvini starebbero preparando per le giovani coppie, inteso come un incentivo a metter su famiglia e a fare figli. Lodevole intento. Ma l’ultimo che c’è riuscito è stato Amintore Fanfani dopo la guerra: da allora molti annunci del genere si sono rivelati dei flop. È un po’ come per gli asili nido al Sud: tutti dicono di volerli fare ma poi non si fanno mai.
La seconda promessa è «trovare gli strumenti» per la libertà educativa e per una effettiva «parità scolastica», campo in cui «l’Italia è rimasta l’ultima nella Ue»; il che lascia intendere più soldi alle famiglie perché possano scegliersi le scuole dei figli.
Due promesse impegnative, ma certo non sufficienti a definire un programma di autunno-inverno del governo, ormai già alle prese con la manovra. Sfruttando la metafora dei mattoni (parola chiave del Meeting), e citando T.S. Eliot e Atreju nella stessa frase, la premier ha così provato a definire la sua idea di conservatorismo: «Non significa opporsi al cambiamento, ma costruire con mattoni nuovi una casa che non abbiamo iniziato noi». A parte il fatto che anche un progressista potrebbe usare la stessa immagine per definire sé stesso, non è chiaro che cosa questo comporti sul piano delle riforme sociali ed economiche cui l’Italia è attesa da tempo.
La stabilità finanziaria vantata dalla premier è un bene indiscutibile, e un importante successo del suo governo e del ministro Giorgetti. Ma ad essa non corrisponde necessariamente un’economia vibrante e in crescita. Sul Foglio di ieri l’economista Nicola Rossi segnalava che Parigi ha oggi certamente più problemi di deficit e debito di noi, ma in Francia sono nate negli ultimi dieci anni 30 «unicorni» (si chiamano così le start up valutate più di un miliardo) mentre in Italia si contano sulle dita di una mano. Negli ultimi venticinque anni la nostra produzione industriale è calata di un quarto, mentre quella dell’Europa cresceva di altrettanto. I segnali di rallentamento dell’economia dovuti ai dazi sono evidenti. Sarebbe il tempo di grandi sferzate, di scelte in avanti, piuttosto che di ritorni al bricolage pensionistico.
La premier ha accennato all’intenzione di «concentrare l’attenzione sul fisco dei ceti medi» e di «abbassare strutturalmente il costo dell’energia». Ma non sappiamo ancora con quali «mattoni» Giorgia Meloni intenda costruire una nuova Italia per il nuovo mondo. Finora non si è visto molto. Aspettiamo la manovra per capirlo.