La Stampa, 27 agosto 2025
Statalismo made in Donald
Dal libero mercato al dirigismo, con reminiscenze socialiste. In soli sette mesi. Il nuovo corso economico di Donald Trump sta spostando il capitalismo Usa verso forme di intervento diretto che fino a poco tempo fa sembravano estranee alla tradizione di mercato degli Stati Uniti. Con il sostegno dei suoi consiglieri, in particolare Kevin Hassett, il presidente ha inaugurato una stagione in cui lo Stato non si limita a incentivare ma entra nel capitale delle imprese considerate strategiche. Intel ne è un esempio. Hassett l’ha definita «una sorta di acconto su un fondo sovrano, che molti Paesi già possiedono», sottolineando che «a un certo punto ci saranno altre transazioni, se non in questa industria, in altre». La promessa di Trump di «molti altri casi come questo» segnala un disegno destinato a incidere sul rapporto tra potere politico e mondo delle aziende.La mossa su Intel è la dimostrazione più chiara delle intenzioni della Casa Bianca. Attraverso la conversione in azioni di parte dei fondi inutilizzati del Chips Act, Washington ha acquisito il 10% del capitale del big dei chip, diventandone il principale socio singolo. Non è un salvataggio, come nel 2008, dopo il crac Lehman, con le banche o l’auto. Ma di un investimento in un’azienda da oltre 100 miliardi di capitalizzazione, impegnata in un difficile rilancio. Nei documenti alla Sec, Intel ha segnalato rischi per le vendite all’estero (la maggioranza dei ricavi) e possibili ostacoli per futuri finanziamenti. Eppure il suo ceo Lip-Bu Tan, ha detto di «guardare con favore al governo come azionista», pur riconoscendo di non averne un bisogno immediato. Più cauta la risposta degli analisti, come gli esperti di Wells Fargo, che temono l’interventismo di Washington anche in assenza di necessità evidenti.Il direttore del National Economic Council Hassett, tra i più convinti sostenitori della svolta, insiste che i fondi pubblici devono generare ritorni tangibili. «Non siamo nel business di scegliere vincitori e vinti, ma i soldi dei contribuenti non possono scomparire nel nulla», ha detto, ribadendo che la logica non è quella dell’assistenzialismo, ma della costruzione di un ecosistema capace di resistere alla concorrenza internazionale. A fargli eco è Howard Lutnick, segretario al Commercio, che ha difeso l’approccio con parole nette: «È tempo che l’America si assicuri di vincere nel business. Se una società ha bisogno di aiuto, il presidente valuterà la possibilità di una partecipazione pubblica. Ma dobbiamo capire dove gli Usa aggiungono valore fondamentale». Lutnick ha anche proposto la creazione di un «fondo nazionale di sicurezza economica» per gestire le nuove partecipazioni. Fra queste, le ipotesi sul campo riguardano i giganti della difesa, come Lockheed Martin, Boeing e Palantir.Intel non è l’unico caso. La Casa Bianca ha imposto una “golden share” in U.S. Steel come condizione per approvare la vendita a Nippon Steel, acquisendo un potere di veto su nomine e investimenti. Ha negoziato con Nvidia e AMD la cessione al Tesoro di una quota del 15% dei ricavi derivanti dalle vendite in Cina, prima vietate dalle restrizioni commerciali. Ha sostenuto la partecipazione pubblica in MP Materials, cruciale per le terre rare. In ciascun dossier, l’argomento ricorrente è la sicurezza nazionale, trasformata in chiave per giustificare la presenza azionaria dello Stato. Le reazioni sono contrastanti. Bill George, ex numero uno di Medtronic ora all’Harvard Business School, ha parlato di «una trasformazione che non si era mai vista in America». Il senatore repubblicano Rand Paul è più duro: «Se il socialismo è lo Stato che possiede i mezzi di produzione, allora possedere una parte di Intel è già un passo in quella direzione». Alcuni analisti, come quelli di Eurasia e di Rand, avvertono del rischio di distorsioni di mercato, con clienti e fornitori tentati di privilegiare le aziende che contano sul sostegno pubblico. D’altra parte, il clima tra i ceo è di prudenza e opportunismo. Apple, pur diversificando la produzione verso l’India, ha intensificato i contatti con Trump. Intel, pur segnalando rischi, si è adattata a un contesto in cui il governo non è più solo regolatore ma azionista.La Casa Bianca respinge le critiche. Trump parla di «rafforzare la libertà economica e proteggere i posti di lavoro americani». Hassett insiste che il modello non sostituisce il mercato ma ne corregge le fragilità: «Nel passato il governo federale ha elargito denaro alle imprese e il contribuente non ha ricevuto alcunché in cambio, adesso ci sarà più equità». Lutnick ribadisce che non si tratta di un arbitrio politico: «Noi non vogliamo distorcere il mercato, ma garantire che l’America vinca». La differenza rispetto alla crisi del 2008 è però sostanziale. Allora si trattava di interventi emergenziali, oggi è una scelta strutturale. Se davvero nascerà un fondo sovrano nazionale, come suggerito da Hassett e Lutnick, gli Usa consolideranno un modello di capitalismo statale senza precedenti nella loro storia. Per i sostenitori, è la via per difendere i settori chiave da concorrenti aggressivi come la Cina. Per il mercato, una potenziale sconfitta. —