La Stampa, 27 agosto 2025
Una riflessione sui cani
Ieri era la giornata mondiale del cane, e in rete è stata festeggiata con una profusione di foto, aforismi, dichiarazioni di amore, di stima, per un cane in particolare o i cani in generale, e anche io ne ho uno, si chiama Fix, e ieri mattina ho celebrato con lui la fausta ricorrenza porgendogli un premietto da sgranocchiare. Da Argo in poi, i cani hanno costituito una misura dei sentimenti di umanità. Per esempio: di ritorno da un viaggio in Unione Sovietica, Arthur Koestler aveva capito, vedendo una signora con cagnolino salire sul treno, appena oltre la frontiera, che cosa mancava all’idilliaco quadretto che gli avevano dipinto: i cani. Ancora più preciso, Emmanuel Lévinas scrisse del cane Bobby che salutava lui e gli altri prigionieri del lager, perché per i nazisti no, ma per Bobby erano ancora esseri umani. Nessuno come il cane sa stare dalla parte del giusto, o almeno è quello che ci siamo raccontati più spesso e anche ieri. Non so, però, se abbiate visto La zona di interesse, lo straordinario film di Jonathan Glazer sulla famiglia di Rudolph Höss, il comandante di Auschwitz. Il lager non si vede mai. Ma mentre gli Höss leggono o prendono il tè, se ne sentono i rumori. Soprattutto i latrati dei cani. Non si vede nulla, si immagina tutto, i denti, la bava, gli occhi. Per Primo Levi, gli ordini stessi dei nazisti erano latrati di una rabbia vecchia secoli. E Varlam Šalamov ha ricordato di quante volte al gulag fu minacciato coi cani che gli si avventavano contro, minacciato coi «denti dei grassi cani sazi». Ecco sì, in questo senso, più completo, i cani sono la misura dei sentimenti di umanità. —