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 2025  agosto 27 Mercoledì calendario

Il mistero chiamato Radiohead

Una storia da pub. Di quelle che durano una sera, al massimo un paio di giorni. Solo che lei è bellissima, e viene dal quartiere più snob di Oxford. Lui invece vive in periferia, e si sente sfigato come tutto quel che vede nel circondario. Thom scrive per la ragazza una ballata perfetta, accorata, supplicante. Vorrebbe essere uno strafigo per essere alla sua altezza, invece è uno “strano”, non solo per quella palpebra abbassata perennemente come una tendina sul mondo, maledetta sindrome, ma pure per la nevrosi, la depressione, la paura che se lo mangia da quando da bambino è sopravvissuto per un pelo a un terrificante schianto in auto. La bella, a sorpresa, si affaccia a uno dei primi live dei Radiohead. Thom Yorke la vive malissimo, sul palco è una serata no. Eppure Creep spacca, è il primo singolo degli oxoniensi, tutto il mondo la ricanta e vi si riconosce, all’alba dei Novanta, il decennio spaesato della Generazione X. I Radiohead ripudiano Creep, la suoneranno giusto una manciata di volte in oltre trent’anni, vogliono dimostrare di non essere un gruppo da un hit e via.
E hanno ragione. Provate a prenderli.
Come nota Fernando Rennis in Pop is dead. La storia dei Radiohead (nottetempo, da dopodomani in libreria) per loro vale il principio di indeterminazione di Heisenberg: uno dei capisaldi della meccanica quantistica, secondo cui è impossibile determinare la posizione di una particella. Per Yorke e i suoi sodali qualcuno aveva già scomodato un altro paradosso della fisica, quello del gatto di Schroedinger, che può essere contemporaneamente vivo o morto.
Esattamente come loro: non pubblicano un album sotto il marchio Radiohead da quasi dieci anni (l’ultimo, A Moon Shaped Pool è del 2016), ma sono rimasti sempre attivi con progetti, artistici o manageriali, che ne confermano una creatività neppure troppo sottotraccia. Nel marzo scorso i cinque membri della squadra (sono sempre quelli sin dagli esordi), Thom Yorke, Ed O’Brien, Phil Selway, Colin e Jonny Greenwood, hanno fondato una Srl, la RHEUK25. Nell’acronimo i fan hanno voluto leggere l’annuncio di un tour a breve. Otto giorni più tardi, su un’asta di beneficenza in Rete, venivano messi a disposizione “quattro biglietti esclusivi per un concerto dei Radiohead”, mentre un sito tirava in ballo una presunta fonte per confermare la novità. Che poi si rivela essere un ballon d’essai, o una burla dei diretti interessati.
A Ferragosto, ci risiamo: ecco a sorpresa un album virtuale con le versioni live di quasi tutti i pezzi di Hail to the Thief, il sottovalutato capitolo discografico del 2003.
Yorke li aveva usati per la colonna sonora di un Amleto teatrale, riscoprendone la forza. E si è tornati a sperare in un nuovo tour, magari in autunno, visto che se i singoli componenti hanno suonato quasi ovunque negli ultimi sette anni, i Radiohead sembrano in stato di ibernazione. Del resto, sottolinea Rennis nel libro, il loro è “un mondo in cui regna il glitch, dove ci si muove sotto il regime delle possibilità”.
Vero: pare di vederli, mentre, spiega l’autore, “rimangono in bilico, appunto, tra pop e avanguardia, rock da stadio e autoproduzione, mainstream e underground, provocazioni a mezzo stampa e comportamenti da diligenti borghesi ben istruiti”. Rennis sembra saperne una più del diavolo, e due o tre più degli stessi Yorke o Jonny Greenwood, i due leader che si nascondono al mondo restando bene in vista: il cantante facendo capolino spesso dalla sua casa romana, l’altro dalle campagne di Fermo dove produce olio.
Hanno segnato soprattutto il passaggio del secolo, con una triade di album sensazionali: il capolavoro Ok Computer (1997), Kid A (2000), Amnesiac (2001), rinunciando al possibile status di rockband più popolare di sempre per difendere la loro creatività, dove la sperimentazione si sposa con i multiversi in cui coabitano il pop, le influenze jazz di Davis e Mingus, la classica di Penderecki e Messiaen, l’elettronica appena inventata o mai udita prima.
Cavalcando l’onda di un mondo che gli mutava sotto i piedi, dal vinile a Napster, ai leak degli inediti buttati in rete talvolta da loro stessi o gli album “liquidi”. Band sempre tostamente politicizzata, contro Bush, Blair, giù fino a Trump, ma avvolta in un pertinace silenzio su Gaza, forse per motivi familiari interni. Come sia, propongono “un’arte fatta di brani che risuonano un attimo prima della possibile tragedia, quando ancora possiamo salvarci”. Come in una controstoria dei Beatles (uccisi dall’avventura inavvicinabile di Sgt.Pepper’s), i Radiohead sono sopravvissuti grazie allo spostamento incessante, sempre un metro oltre da dove li attendiamo.